Intervista a Luciana Parisi e Tiziana Terranova su "Masse, potere e postdemocrazia nel XXI secolo" a cura dei blog Obsolete Capitalism e Rizomatika. Intervista raccolta l'11 dicembre. Qui potete leggere le interviste in lingua inglese precedentemente pubblicate:Jussi Parikka 14 settembre
Queste, invece, le interviste pubblicate in lingua italiana:
EDIT: Abbiamo raccolto l'intervista di Terranova/Parisi in questo PDF ; tutte le interviste sul populismo digitale in lingua italiana le potete leggere o scaricare gratuitamente nell'e.book "Nascita del populismo digitale. Masse, potere e postdemocrazia nel XXI secolo" QUI.
Masse, potere e postdemocrazia nel XXI secolo
'Fascismo di banda, di gang, di setta, di famiglia, di villaggio, di quartiere, d’automobile, un Fascismo che non risparmia nessuno. Soltanto il micro-Fascismo può fornire una risposta alla domanda globale: “Perchè il desiderio desidera la propria repressione? Come può desiderare la propria repressione?'
—Gilles Deleuze, Fèlix Guattari, Mille Piani, pg. 271
Sul micro-fascismo
OC Partiamo dall’analisi di Wu Ming, esposta nel breve saggio per la London Review of Books intitolato “Yet another right-wing cult coming from Italy”, che legge il M5S e il fenomeno Grillo come un nuovo movimento autoritario di destra. Come è possibile che il desiderio di cambiamento di buona parte del corpo elettorale sia stato vanificato e le masse abbiano di nuovo anelato - ancora una volta - la propria repressione ? Siamo fermi nuovamente all’affermazione di WilhelmReich: sì, le masse hanno desiderato, in un determinato momento storico, il fascismo. Le masse non sono state ingannate, hanno capito molto bene il pericolo autoritario, ma l’hanno votato lo stesso. E il pensiero doppiamente preoccupante è il seguente: i due movimenti populisti autoritari, M5S e PdL, sommati insieme hanno più del 50% dell’elettorato italiano. Le tossine dell’autoritarismo e del micro-fascismo perché e quanto sono presenti nella società italiana contemporanea ?
Tiziana Terranova Luciana ha giustamente posto l'accento sulla necessità di ripensare che cosa Deleuze e Guattari intendessero con il concetto di microfascismo, su quale concezione del rapporto tra energia desiderante e informazione si fondi, e su come sia importante non collassare il microfascismo con il fascismo tout court. Forse è per questo che l'interpretazione del grillismo di Wu Ming, fin dall'inizio mi ha lasciato fredda. Penso che il discorso sia diverso per Forza Italia e i berlusconiani, nella misura in cui, a mio avviso, c'è stato un transfert molto più diretto della figura di Mussolini su quella di Berlusconi, anche con tutto un confluire di apparati, logge e organizzazioni neo-fasciste su questa figura. E però allo stesso tempo questo non significa negare che ci sono elementi autoritari e microfascisti in gioco nel Movimento 5 stelle. La rabbia di Grillo, dei 5 stelle, di coloro che li hanno votati forse può essere vista come microfascista nel senso che Luciana vuole dare al termine: un nichilismo che restituisce potenza agli assoggettati dal potere. Tutta questa rabbia è assolutamente giustificata. E come potrebbe essere altrimenti dopo decenni di televisione e stampa che, malgrado le censure e i controlli, hanno riportato abbastanza fedelmente tutti gli scandali, le corruzioni, le connivenze, le complicità nell'enorme estrazione di ricchezza che si sta operando oggi in Italia, ma anche (è questo è spesso oscurato dai media nazionali) in Europa e nel resto del mondo? Nella retorica, nello stile verbale di molti esponenti del movimento c'è questa rabbia e questo disprezzo, e questo è quello che agli occhi di molti, soprattutto il centrosinistra democratico, li rende fascisti. Sergio Bologna è stato uno dei primi a sostenere che il movimento 5 stelle è figlio del giornalismo investigativo di un programma come Report, dei libri sulla casta etc. Ma tutto ciò avrebbe dovuto spingere secondo i più affermati opinionisti 'democratici' l'elettorato nelle braccia dell'unica alternativa, il riformismo democratico, in pratica un neoliberismo di sinistra. Molte energie sono state investite da quell'area politica nel definire come estremisti o fascisti tutto ciò che sfugge o eccede la loro impostazione politica. E tuttavia, il riformismo democratico è stato ripetutamente battuto alle urne ed ecco le accuse di fascismo e populismo nella stampa e nei media di quell'area, che non risparmiano queste accuse a nessuna forma di politica che li eccede (pensiamo alla demonizzazione, nel senso che Stanley Cohen ha dato al termine, dei centri sociali, del movimento No Tav, delle occupazioni, delle proteste ambientali etc). Certamente c'è un tratto che Grillo e il pubblico del blog ha assorbito dai media mainstream, cioè il ritenere la corruzione un problema italiano, nel pensare che gli 'altri' (i 'civili', cioè i tedeschi, gli inglesi, gli scandinavi, gli americani) mandano i corrotti in galera, che altrove esiste una 'buona' politica. In questo non si è emancipato dal discorso liberale di giornali come La Repubblica che continuamente pongono come modello dell'Italia i paesi 'normali' del Nord del mondo. Ma non mi trovo d'accordo sul modo in cui il Movimento 5 stelle è stato messo nella casella dei 'cattivi' o degli 'incompetenti' al potere, appunto espressione di un microfascismo generalizzato che confluisce nel corpo e nella voce del leader. A me sembra che questo sia un cercare di ricondurre tutto quello che è nuovo a qualcosa di già visto e scontato. Il Movimento 5 stelle ha espresso questa rabbia diffusa contro la corruzione identificata non con quella o l'altra parte politica ma con tutto lo spettro politico parlamentare tout court. E' andato alle elezioni non per fare mediazioni, ma per prendere il potere e rifondare la politica. Ha tentato cioè una specie di hack della politica parlamentare, a cui i movimenti sociali hanno rinunciato da anni nella convinzione della necessità di fondare nuove istituzioni che non passino attraverso i meccanismi classici della rappresentazione. Questo hack, questa rottura del meccanismo, per fortuna o sfortuna, non lo possiamo dire, non gli è riuscita, e quindi piuttosto che rientrare nella mediazione, hanno portato una specie di guerriglia in parlamento. Io trovo, per esempio, l'episodio del senatore grillino, che è riuscito a inserire l'emendamento per l'abolizione del reato di clandestinità, geniale. Partendo da una totale sfiducia nei partiti esistenti, gli eletti del M5S - che sono andati al potere con il mandato di destituire, il tutti a casa è un tema comune - si muovono come una squadra di calcio, aprendo un varco nelle difese serrate del nemico, reso disorientato per qualche giorno dall'effetto dirompente della strage di migranti nel mare di Lampedusa, segnando un goal. La sconfessione di Grillo, invece, il suo appello alla popolarità e al programma, agli 'italiani' che non voterebbero mai un partito che ha nel suo programma l'abolizione del reato di clandestinità, nella continuità delle sue affermazioni sulla politica della migrazione, dimostra quali sono gli elementi di esclusione nella figura di cittadino al quale si riferisce. Grillo parla di cittadino italiano, i cui interessi sono opposti a quelli di due gruppi sociali: in primis a politici e impiegati pubblici, ma anche, in maniera meno esplicita, agli immigrati. I parassiti legati alla macchina statale da un lato, i flussi incontrollati migratori dall'altro. Mettere sullo stesso piano politici, impiegati pubblici e migranti propone un’immagine del cittadino che si sovrappone a quella del 'datore di lavoro'. Nel berlusconismo, il datore di lavoro che è il proprietario di denaro o capitale che irrora il corpo sociale di lavoro e ricchezza, è assolutizzato nella figura di Berlusconi. Grillo disperde questa potenza del datore di lavoro distribuendola sulla figura di un cittadino italiano che lavora e paga le tasse e quindi diventa il datore di lavoro di politici e impiegati pubblici, e guarda all'immigrato in termini di vantaggi o svantaggi che questa forza lavoro comporta. Per questo può attingere anche all'elettorato della Lega, ma senza riprenderne in maniera centrale i tratti più truculenti. Un altro elemento del M5S che si potrebbe definire autoritario senza dubbio è il rapporto con il 'programma' e con la 'rete'. Il blog di Grillo ha costituito negli anni un pubblico a cui ha raccontato quotidianamente la corruzione della politica e del capitalismo italiano proponendo, invece, una visione alternativa di un futuro ecologico e tecnologico, un futuro a tecnologia verde, decentralizzata, basato sul coinvolgimento attivo dei 'cittadini'. Non a caso Grillo ha sostenuto le vertenze in Campania contro l'inceneritore, per la bonifica dei territori avvelenati dai rifiuti tossici, e il movimento No Tav. Ma pare che l'unico modo di raggiungere questo obbiettivo per il M5S è sottoporsi alla disciplina rigida del programma deciso dalla rete. La rete diventa un soggetto unico le cui differenze e opposizioni possono essere risolte tramite votazioni, a sua volta calibrata dagli algoritmi per evitare infiltrazioni. I deputati, idealmente, dovrebbero essere, secondo Grillo, come le maschere di Anonymous: pure espressioni di una volontà generale espressa dalla rete. In questo senso, la rete diventa il popolo, la cui volontà non può che essere unitaria, e i parlamentari 5 stelle i suoi avatar. Il risultato è un appiattimento sull'esistente, un piegarsi all'opinione maggioritaria, un soffocamento dell'invenzione e del dissenso. E pur tuttavia tutto ciò non equivale a rappresentarlo univocamente come un movimento autoritario di destra, semmai è, e continua ad essere, un contenitore abbastanza caotico che la voce di Grillo non riesce a rappresentare totalmente e a contenere. Insomma a me sembra che il Movimento 5 stelle rappresenti un insieme di differenze rispetto alla composizione della sinistra che in alcuni casi diventa piena opposizione e quindi conflitto (sulla questione della migrazione, sul rapporto pubblico/privato etc) e in altri casi invece sovrapposizione. Ma non è questo il problema politico principale, per coloro che non vogliono rimanere intrappolati nell'opposizione bipolare (a cui l'Italia aspira nel nome della governabilità), la composizione (non la mediazione) delle differenze? Per essere chiari, nella mediazione ognuno cede qualcosa e si arriva a un compromesso 'mediano', la composizione richiede invece l'attivazione dell'invenzione, l'introduzione di elementi nuovi, lavora sul nichilismo microfascista in modo trasformativo, cioè costituente.
- 1919, 1933, 2013. Sulla crisi
OC Slavoj Zizek ha affermato, già nel 2009, che quando il corso normale delle cose è traumaticamente interrotto, si apre nella società una competizione ideologica “discorsiva” esattamente come capitò nella Germania dei primi anni ’30 del Novecento quando Hitler indicò nella cospirazione ebraica e nella corruzione del sistema dei partiti i motivi della crisi della repubblica di Weimar. Zizek termina la riflessione affermando che ogni aspettativa della sinistra radicale di ottenere maggiori spazi di azione e quindi consenso risulterà fallace in quanto saranno vittoriose le formazioni populiste e razziste, come abbiamo poi potuto constatare in Grecia con Alba Dorata, in Ungheria con il Fidesz di Orban, in Francia con il Front National di Marine LePen e in Inghilterra con le recentissime vittorie di Ukip. In Italia abbiamo avuto imbarazzanti “misti” come la Lega Nord e ora il M5S, bizzarro rassemblement che pare combinare il Tempio del Popolo del Reverendo Jones e Syriza, “boyscoutismo rivoluzionario” e disciplinarismo delle società del controllo. Come si esce dalla crisi e con quali narrazioni discorsive “competitive e possibilmente vincenti”? Con le politiche neo-keynesiane tipiche del mondo anglosassone e della terza via socialdemocratica nord-europea o all’opposto con i neo populismi autoritari e razzisti ? Pare che tertium non datur.
LP Voglio soffermarmi sull’idea di crisi. Storicamente l’analisi politica della crisi si è basata su una concezione negentropica del capitale e del suo effetto sul sociale. La capacità di trasformare le forze energetiche si può capire in termini di evoluzione di un sistema verso una creazione distruttiva o perfino una distruzione distruttiva come alcuni hanno sostenuto recentemente. La crisi quindi è capita come un momento che conduce a un nuovo livello di riterritorializzazione che sfocia nel razzismo, ma anche nel sessismo e il caso italiano è ricco di esempi in cui la crisi giustifica la ripetizione degli schieramenti politici contro le politiche identitarie. Questo porta alcuni a dire che i cosiddetti frammenti politici – dalle questioni di genere a quelle della transessualità, dai movimenti ecologisti agli animalisti – non capiscono l’urgenza di auto-costituirsi in un programma politico unitario che possa diventare alternativo alla narrazione della crisi economica del capitale. Ma vorrei suggerire che l’appello a una fondamentale appartenenza alla classe lavoratrice è anch’esso sintomo della repressione che riguarda non solo le differenze, ma la radicale immanenza della produzione di socialità frattali, il cui senso di unità sta nella fondamentale incommensurabilità delle parti. Piuttosto che a una politica delle differenze – o di continua differenziazione del socius che per molti è solo sintomo di uno spiritualismo politico che non sa rispondere veramente al dominio della crisi economica (ed ecco perché bisogna mantenere l'assunto primario della classe lavoratrice) - bisogna guardare, forse, alla proliferazione della frattalità non solo tra, ma anche dentro, i movimenti: quindi movimenti uniti dalla frattalità e non dalla univocità dell'appartenenza. Ciò significa che bisogna ogni volta ripassare per le matrici dell’antisessismo e dell’antirazzismo come spazi zero di invenzione - nel senso che bisogna sviluppare una pratica teorica e una teoria pratica – che rompa l'identificazione della 'crisi' con la 'crisi economica' e le conseguenze che molti sembrano ricavare da questa equivalenza: per uscire dalla crisi bisogna passare attraverso la ricostituzione rappresentativa. Il punto è che si possono sviluppare delle cartografie della ricostituzione che non combaciano con il discorso omogeneo della rappresentazione. Infatti queste cartografie possono anche produrre un altro tipo di rappresentazione – lavorando dentro la rappresentazione, invece che contro.
Se la crisi non è più solo un momento negentropico, che porta da un lato a una ricostituzione primaria dei discorsi e dall'altro a una frammentazione dei movimenti senza vera valenza politica, allora che altro può essere la crisi? Penso che, ancora una volta, si debba considerare in maniera scientifica, e non solo politica, l’idea di crisi come 'collasso', visto come l’incapacità di contenere in un’assioma tutte le condizioni date. Da questo punto di vista bisogna imparare a capire in che modo è cambiato quello che possiamo chiamare il calcolo algoritmico del capitale, componente fondamentale della sua razionalità politica e del modo in cui ha affrontato il collasso del 2008. Questo calcolo algoritmico non funziona su assiomi completi, finiti e predeterminati, per cui la risposta a x non può che essere z, e tutto è previsto, incluso, e predeterminato. Il capitale sembra piuttosto funzionare su una quasi assiomatica, secondo cui le regole sono continuamente cambiate come in una semplice risposta a cambiamenti esterni. Troviamo questa logica al lavoro anche nel paradigma interattivo, in cui gli assiomi sono anch’essi divenuti dinamici e interscambiabili, e soprattuto aperti al calcolo delle contingenze. Naturalmente non sto escludendo il fatto che il calcolo funzioni ancora per via assiomatica completa, ma penso che sia importante capire che sin da Alan Turing, la scoperta dell’incomputabile e cioè dell’incapacità di un sistema di contenere tutte le sue espressioni abbia messo in moto una cultura della programmabilità per cui la crisi è già condizione incondizionata del calcolo. Ciò che avviene oggi nel contesto del capitale computazionale è che il limite del calcolo è diventato un infinito che si può computazionalmente calcolare. Quindi si potrebbe addirittura parlare non della crisi e della sua rappresentazione, ma della crisi come una constante topologica che sottende sia il calcolo del capitale – che include il lavoro e il modo in cui le affettività sono trasformate in lavoro – ma anche la frattalizzazione unitaria del movimento politico.
TT Penso che rispetto agli anni trenta del novecento ci troviamo di fronte a una moltiplicazione davvero infinita, anzi io direi quasi infinitesimale (Luciana direbbe incomputabile che per lei non è la stessa cosa) dei desideri e delle aspirazioni di questo socius e contemporaneamente un inasprimento terribile della crisi che impedisce a questi desideri di realizzarsi. Il calcolo economico, la logica dell'interesse, la competitività, la povertà diffusa sembrano avere una presa fortissima sul presente, ma non dobbiamo pensare che esauriscano necessariamente il futuro perché appunto non esauriscono neanche il presente. Penso al desiderio di una vita sollevata dal ricatto del lavoro del precariato urbano e quindi alla richiesta di un reddito di cittadinanza, all'idea di un commonfare (come quello proposto da Carlo Vercellone) come base di un’economia 'antropogenetica' che metta al centro lo sviluppo delle relazioni affettive e della cura del sé e degli altri, alle esigenze diffuse di un nuovo rapporto con la terra, la natura, il corpo, il cibo, la sessualità, le nuove forme di spiritualità, un modo di produzione degli oggetti che non dipenda dalla semi-schiavitù della fabbrica, un movimento libero dei corpi al di là delle frontiere, una eterogeneità di modi di vivere che investe le strutture tradizionali della famiglia, dell'abitare etc... Tutti questi desideri e aspirazioni sono come sollecitati dalla razionalità politica del capitalismo neoliberale che ci incita continuamente a 'lavorare su noi stessi', a desiderare di realizzare i nostri desideri e affermare le nostre credenze, ma allo stesso tempo sono frustrati dalle logiche mercantili, dall'estensione del tempo di lavoro, dalla trappola del debito, dalla comunicazione regolata sulla produzione di profitto, dalla povertà. Siamo prigionieri di una moneta privatizzata, generata da un tipo di calcolo che non permette di distribuire le risorse per costruire propri mondi, inclusi gli spazi e i tempi per espandere questi desideri e sperimentare i modi in cui attualizzarli socialmente. Per questo mi piace come i post-operaisti hanno messo l’accento sull’inventare non tanto una nuova narrazione, ma nuove istituzioni in grado di sostanziare questi processi desideranti, che in opposizione alla logica del privato e del pubblico, chiamano istituzioni del comune. Molte di queste aspirazioni e desideri sono in un movimento come quello 5 stelle, ma rimangono catturate dalla logica dell'informazione e dell'opinione, diventano cioè discorsi prefabbricati da opporre con rabbia all'esistente che faticano a produrre auto-formazione, cioè approfondimento, cooperazione e invenzione. Se si relega questa materia sociale allo statuto di qualcosa di non essenziale, perché riguarderebbe la cultura e non l'economia, o se si pensa che questi desideri possano essere catturati totalmente da una narrazione unitaria, allora non si capisce che ne costituirebbero invece proprio la base, l'infrastruttura macchinica direbbe Guattari, da cui può emergere non una narrativa ma una nuova razionalità politica e un nuovo modo di vivere.
Se la crisi non è più solo un momento negentropico, che porta da un lato a una ricostituzione primaria dei discorsi e dall'altro a una frammentazione dei movimenti senza vera valenza politica, allora che altro può essere la crisi? Penso che, ancora una volta, si debba considerare in maniera scientifica, e non solo politica, l’idea di crisi come 'collasso', visto come l’incapacità di contenere in un’assioma tutte le condizioni date. Da questo punto di vista bisogna imparare a capire in che modo è cambiato quello che possiamo chiamare il calcolo algoritmico del capitale, componente fondamentale della sua razionalità politica e del modo in cui ha affrontato il collasso del 2008. Questo calcolo algoritmico non funziona su assiomi completi, finiti e predeterminati, per cui la risposta a x non può che essere z, e tutto è previsto, incluso, e predeterminato. Il capitale sembra piuttosto funzionare su una quasi assiomatica, secondo cui le regole sono continuamente cambiate come in una semplice risposta a cambiamenti esterni. Troviamo questa logica al lavoro anche nel paradigma interattivo, in cui gli assiomi sono anch’essi divenuti dinamici e interscambiabili, e soprattuto aperti al calcolo delle contingenze. Naturalmente non sto escludendo il fatto che il calcolo funzioni ancora per via assiomatica completa, ma penso che sia importante capire che sin da Alan Turing, la scoperta dell’incomputabile e cioè dell’incapacità di un sistema di contenere tutte le sue espressioni abbia messo in moto una cultura della programmabilità per cui la crisi è già condizione incondizionata del calcolo. Ciò che avviene oggi nel contesto del capitale computazionale è che il limite del calcolo è diventato un infinito che si può computazionalmente calcolare. Quindi si potrebbe addirittura parlare non della crisi e della sua rappresentazione, ma della crisi come una constante topologica che sottende sia il calcolo del capitale – che include il lavoro e il modo in cui le affettività sono trasformate in lavoro – ma anche la frattalizzazione unitaria del movimento politico.
TT Penso che rispetto agli anni trenta del novecento ci troviamo di fronte a una moltiplicazione davvero infinita, anzi io direi quasi infinitesimale (Luciana direbbe incomputabile che per lei non è la stessa cosa) dei desideri e delle aspirazioni di questo socius e contemporaneamente un inasprimento terribile della crisi che impedisce a questi desideri di realizzarsi. Il calcolo economico, la logica dell'interesse, la competitività, la povertà diffusa sembrano avere una presa fortissima sul presente, ma non dobbiamo pensare che esauriscano necessariamente il futuro perché appunto non esauriscono neanche il presente. Penso al desiderio di una vita sollevata dal ricatto del lavoro del precariato urbano e quindi alla richiesta di un reddito di cittadinanza, all'idea di un commonfare (come quello proposto da Carlo Vercellone) come base di un’economia 'antropogenetica' che metta al centro lo sviluppo delle relazioni affettive e della cura del sé e degli altri, alle esigenze diffuse di un nuovo rapporto con la terra, la natura, il corpo, il cibo, la sessualità, le nuove forme di spiritualità, un modo di produzione degli oggetti che non dipenda dalla semi-schiavitù della fabbrica, un movimento libero dei corpi al di là delle frontiere, una eterogeneità di modi di vivere che investe le strutture tradizionali della famiglia, dell'abitare etc... Tutti questi desideri e aspirazioni sono come sollecitati dalla razionalità politica del capitalismo neoliberale che ci incita continuamente a 'lavorare su noi stessi', a desiderare di realizzare i nostri desideri e affermare le nostre credenze, ma allo stesso tempo sono frustrati dalle logiche mercantili, dall'estensione del tempo di lavoro, dalla trappola del debito, dalla comunicazione regolata sulla produzione di profitto, dalla povertà. Siamo prigionieri di una moneta privatizzata, generata da un tipo di calcolo che non permette di distribuire le risorse per costruire propri mondi, inclusi gli spazi e i tempi per espandere questi desideri e sperimentare i modi in cui attualizzarli socialmente. Per questo mi piace come i post-operaisti hanno messo l’accento sull’inventare non tanto una nuova narrazione, ma nuove istituzioni in grado di sostanziare questi processi desideranti, che in opposizione alla logica del privato e del pubblico, chiamano istituzioni del comune. Molte di queste aspirazioni e desideri sono in un movimento come quello 5 stelle, ma rimangono catturate dalla logica dell'informazione e dell'opinione, diventano cioè discorsi prefabbricati da opporre con rabbia all'esistente che faticano a produrre auto-formazione, cioè approfondimento, cooperazione e invenzione. Se si relega questa materia sociale allo statuto di qualcosa di non essenziale, perché riguarderebbe la cultura e non l'economia, o se si pensa che questi desideri possano essere catturati totalmente da una narrazione unitaria, allora non si capisce che ne costituirebbero invece proprio la base, l'infrastruttura macchinica direbbe Guattari, da cui può emergere non una narrativa ma una nuova razionalità politica e un nuovo modo di vivere.
- Sull'organizzazione
OC Daniel Guèrin nel suo “La peste brune” mostra come la conquista del potere di Hitler nella Germania del 1933 sia avvenuta grazie anzitutto a “micro-organizzazioni che gli conferivano un mezzo incomparabile, insostituibile per penetrare in tutte le cellule della società”. Il movimento di Grillo si è ramificato nella società grazie alla formula territoriale dei meet-up mutuata direttamente dal mondo politico statunitense, i meet-up di Howard Dean (vedi qui http://www.wired.com/wired/archive/12.01/dean.html). Ma il M5S è altro ancora dai Meet-Up. E’ possibile tentare un’analitica dell’esplosione M5S come neo-vettore energetico in mutazione vorticosa (Fèlix Guattari l’avrebbe chiamato “il movimento assoluto della macchina-Grillo)? Quali sono le componenti, i fili, i flussi, i segmenti, gli slanci e le eterodossie della “macchina da guerra astratta” grillina ?
LP Non credo che questa forma politica sia vertiginosa e non saprei come discutere la possibilità di una macchina astratta grillina. Mi sembra che il Meetup sia stato concepito come un nodo di affluenza dell’opinione pubblica che però è problematica espressione deliberatoria della libera volontà della gente comune. Invece bisogna considerare la politica propria di queste strutture informatiche: la costituzione di un punto di vista che chiede di essere ricevuto e cambiato. Nel caso di M5S, bisogna ancora una volta realizzare che c’è questo tipo di imperativo interattivo che agisce attraverso le energie politiche. Ma non si tratta solo di un assoggettamento dell’energia a questo punto di vista algoritmico. Forse il problema è vedere appunto questa direzione costante dal vettore all’organizzazione dimenticando che il vettore ha già una direzione – un ordine e quindi una struttura informazionale – e quindi non e’ completamente libero in prima istanza. Ciò che si suppone sia catturato dal M5S, che sembra qui discusso in termini di microfascismo e di genuine energie di dissenso, forse non può essere scisso dall’entropia dell’informazione stessa – e cioè che esiste un ordine nell’energia stessa, che non sfocia in una eguaglianza tra energia e informazione, ma piuttosto di un nuovo ordine di informazione ed energia di cui non abbiamo ancora colto l'operabilità immanente.
- Sulle onde anomale
- OC Franco Berardi in un suo recente post sul sito di Micromega afferma che, con il voto del 24 febbraio 2013, la sconfitta dell’anti-Europa liberista comincia in Italia. Gli italiani, secondo la sua particolare lettura, avrebbero detto: non pagheremo il debito. Insolvenza. Che cosa è accaduto in Italia, secondo il vostro punto di vista, il 24 febbraio 2013? E poi, un recentissimo studio dell’Istituto Cattaneo - Gianluca Passarelli, il ricercatore - ha dimostrato che il M5S è il partito più “nazionale” delle elezioni del 24 febbraio; il suo scoring (0,90 sul top vote di 1,00) dimostra che il suo dato elettorale è il più omogeneo, nei termini di percentuale di voti, su tutto il territorio nazionale, più del PdL (0,889) e del PD (0,881). Ma come è potuto accadere ? Come è stato possibile che in quasi tre anni, dal 2010 al 2013, questo partito-movimento abbia potuto non solo competere, ma addirittura battere, macchine elettorali ben rodate quali quelle delle formazioni berlusconiane e della sinistra organizzata ?
TT Insomma le macchine elettorali ben rodate perdono pezzi da un bel po'. Addirittura negli ultimi giorni, la corte costituzionale italiana ha dichiarato incostituzionale la legge elettorale con cui si è votato per molti anni. Il parlamento, la presidenza della repubblica, le leggi emulgate sono state dichiarate incostituzionali. In un certo senso è una sentenza che ha sancito il giudizio non tanto di incostituzionalità, ma di illegittimità che le urne hanno espresso in maniera crescente in Italia (tra astenuti e votanti 5 stelle) negli ultimi anni. In Italia da anni cospirano per dimostrare che non c'è alternativa a questo bipolarismo dove o sei con Berlusconi o contro di lui in nome delle 'riforme', cioè le liberalizzazioni. L'accordo bi-partisan sulle politiche di fondo (riforme di scuole e università, privatizzazioni, austerity, precariato di massa etc) è ben consolidato. Chi vota, a parte forse gli irriducibili berlusconiani o chi vota per ottenere dei favori, lo fa con un senso di frustrazione. Come ho detto sopra, Grillo ha costruito un circuito che ha funzionato durante le elezioni del 2013: penso abbia trovato il modo di attaccare dall'esterno il sistema bipolare. Ha capitalizzato sulla crisi e sulla frustrazione di un elettorato a cui viene continuamente detto che si va di male in peggio, che le responsabilità sono di una classe politica corrotta e senza vergogna. L'elettorato non ha creduto a Monti e all'idea del governo tecnico e il ritorno ai valori democristiani come soluzione. Grillo gli ha proposto un'alternativa (il deputato-cittadino, la politica verde, il localismo, la cancellazione dei 'privilegi' etc...). Il problema è cosa succede quando sei in parlamento, ormai esautorato dalla governance finanziaria, dove ti riduci a fare la guerra ai politici senza poter incidere sulle trasformazioni profonde. Un parlamento 'pulito' e non 'corrotto' è automaticamente un parlamento in grado di contrastare il comando della BCE, dei mercati e della finanza internazionale o rischia semplicemente di esprimere un governo in grado di legittimare moralmente i 'sacrifici' richiesti? Che Grillo riesca a mantenere questi numeri, dunque, è tutt'altro che scontato. Ma certo ha dimostrato che la spallata al bipolarismo non è così difficile. Tutto sembra molto stabile eppure allo stesso tempo molto fragile, molto instabile.
LP Credo che ciò dimostri che il bipolarismo non è una struttura binaria ma piuttosto è una guerra sul 'centro' che dipende obbligatoriamente da questa zona grigia che coinvolge tutto il resto. Questa zona è da tempo tirata a destra e a sinistra, ma Grillo l’ha invece occupata costruendo delle concatenazioni di senso partendo dalla sconfitta affettiva – oltre che politica - di tutto il resto. In particolare ha dedotto da questa zona grigia i suoi dati oscuri e ha rilevato un ampio spettro di malcontento la cui voce si è diffusa in maniera virale, quindi per amplificazione dell'ingiunzione: anche tu sei politico. Quest’amplificazione ha donato un riconoscimento rappresentativo ai dati invisibili che le ideologie di destra e di sinistra non hanno colto ma, spesso, celato. Mi sembra sia necessario riflettere di più sui dati e sul loro intervento epistemologico e ontologico, sulla politica e sulla rappresentazione politica.
Sul popolo che manca
LP Credo che ciò dimostri che il bipolarismo non è una struttura binaria ma piuttosto è una guerra sul 'centro' che dipende obbligatoriamente da questa zona grigia che coinvolge tutto il resto. Questa zona è da tempo tirata a destra e a sinistra, ma Grillo l’ha invece occupata costruendo delle concatenazioni di senso partendo dalla sconfitta affettiva – oltre che politica - di tutto il resto. In particolare ha dedotto da questa zona grigia i suoi dati oscuri e ha rilevato un ampio spettro di malcontento la cui voce si è diffusa in maniera virale, quindi per amplificazione dell'ingiunzione: anche tu sei politico. Quest’amplificazione ha donato un riconoscimento rappresentativo ai dati invisibili che le ideologie di destra e di sinistra non hanno colto ma, spesso, celato. Mi sembra sia necessario riflettere di più sui dati e sul loro intervento epistemologico e ontologico, sulla politica e sulla rappresentazione politica.
Sul popolo che manca
- OC Mario Tronti afferma che “c’è populismo perché non c’è popolo”. Tema eterno, quello del popolo, che Tronti declina in modalità tutte italiane in quanto “le grandi forze politiche erano saldamente poggiate su componenti popolari presenti nella storia sociale: il popolarismo cattolico, la tradizione socialista, la diversità comunista. Siccome c’era popolo, non c’era populismo.” Pure in ambiti di avanguardie artistiche storiche, Paul Klee si lamentava spesso che era “il popolo a mancare”. Ma la critica radicale al populismo - è sempre Tronti che riflette - ha portato a importanti risultati: il primo, in America, alla nascita dell’età matura della democrazia; il secondo, nell’impero zarista, la nascita della teoria e della pratica della rivoluzione in un paese afflitto dalle contraddizioni dello sviluppo del capitalismo in un paese arretrato (Lenin e il bolscevismo). Ma nell’analisi della situazione italiana ed europea è tranchant: “Nel populismo di oggi, non c’è il popolo e non c’è il principe. E’ necessario battere il populismo perché nasconde il rapporto di potere”. L’abilità del neo-populismo, attraverso gli apparati economici-mediatici-spettacolari-giudiziari, è nel costruire costantemente dei “popoli fidelizzati” più simili al “portafoglio-clienti” del mondo brandizzato dell’economia neo-liberale: quello berlusconiano è da vent’anni che segue blindato le gesta del sultano di Arcore; quello grillino, in costruzione precipitosa, sta seguendo gli stessi processi identificativi totalizzanti del “popolo berlusconiano”, dando forma e topos alle pulsioni più deteriori e confuse degli strati sociali italiani. Con le fragilità istituzionali, le sovranità altalenanti, gli universali della sinistra in soffitta - classe, stato, conflitto, solidarietà, uguaglianza - come si fa popolo oggi ? E’ possibile reinventare un popolo anti-autoritario? A mancare, è solo il popolo o la politica stessa?
TT Non ho una formazione in teoria politica in senso stretto, ma in studi culturali e new media studies, quindi ho un po' di difficoltà con la nozione di populismo. Mi trovo più a mio agio con la nozione di 'popolare' per esempio, in cui il femminile ha molto più spazio. Ho imparato dalla scuola di Birmingham e dalla loro rilettura di Gramsci, che il popolare è il terreno su cui si combatte per l'egemonia, poi con le letture e frequentazioni post-operaiste e la ricerca su scienze e tecnologie ho un po' messo da parte questo interesse per il popolare nella mia ricerca anche se rimango sempre più appassionata alla cultura popolare che all'arte contemporanea. Per esempio io trovo nella Reality TV, che è un fenomeno 'glocale' come sappiamo, uno straordinario inventario dei desideri delle soggettività e anche dei dispositivi attraverso cui questi desideri sono canalizzati verso la competitività, il mito del successo individuale ('uno su mille ce la fa se ha l'X factor' gli altri peggio per loro, eliminati). Le serie televisive americane degli ultimi quindici anni poi hanno prodotto straordinarie narrazioni e immagini di un 'popolo', quello americano, che si esprime in una molteplicità di figure e di personaggi spesso rappresentati nell'atto di cadere. I personaggi maschili di quasi tutti i serial televisivi americani di maggior successo sono rappresentati nell'atto di cadere: dalle crisi di panico di Tony Soprano, alla caduta libera di Mad Men, allo sprofondare della famiglia poligama di Big Love, alla 'caduta' nel crimine, reinterpretata però come rottura, di Breaking Bad. A me piace pensare che il popolo invocato da Tronti, opposto al populismo autoritario e patriarcale, possa emergere dal popolare, sia una possibilità che si può ritrovare nel popolare. Sembra superfluo ricordare come Berlusconi abbia costruito il proprio successo sull'occupazione e reinvenzione del nazional-popolare, e in particolar modo del corpo delle donne, ma forse non è così tanto superfluo ricordare che la sinistra, forse, l'ha persa proprio scegliendo la subalternità in questo campo. La letteratura, la televisione, la musica, i fumetti, il cinema, l'arte, ma anche le feste, i raduni, le arti e discipline del corpo non sono questi i luoghi da cui può emergere il popolo rabelaisiano, nel senso che ce ne dà Bachtin del termine, o il 'popolo a venire' di Deleuze e Guattari? Non è in questo campo così trascurato che si formano quei desideri e quelle credenze, quei linguaggi e quelle forme da cui attingere per continuare a credere nel mondo? Il popolo di Rabelais esiste dove c'è una cultura popolare, non semplicemente una cultura folk delle radici, ma una cultura che si rinnova, che si appropria delle tecnologie e delle forme, che le rivitalizza con la cooperazione, la contaminazione e con l'invenzione, che si fa 'comune'. Tutto ciò oggi passa sia per i vecchi mass media (la televisione re-mediata) ma anche in maniera crescente per le nuove tecnologie di produzione e condivisione.
LP Deleuze ci ha lasciato con l’immagine non del popolo ma della “gente che verrà”. Credo che occorra soffermarsi su come la concezione di gente sia diversa dal popolo e di come la cultura popolare (e su questo sono d’accordo con Tiziana) sia diversa dal populismo. In generale, come dice anche Alberto Toscano nella sua intervista, l’idea di popolo (per esempio richiamata da Jodi Dean) è un’idea problematica perché si dà per scontato il comunismo che sostiene questo “popolo”. Ritornando a Deleuze, l’idea di gente è forse rapportabile all’idea di massa maggioritaria – e quindi non di classe e nemmeno di populismo – ma proprio l’eterogeneità e la complessità dell’unità più elementare. La gente che verrà non è però un appello ad un futuro possibile, o un futuro saturo di immaginario post 9/11 (penso ad esempio alla serie televisiva Homeland, ma anche la rappresentazione di un nuovo tipo di femminismo come si vede nella serie TV Borgen). In questo senso, si tratta non di costituire un nuovo popolo, facendo un lavoro su sè stessi che assuma il pensiero come infinita riflessione. Si tratta piuttosto di una pratica teorica di natura speculare rivolta non tanto al cambiamento delle condizioni della gente, così che si possa costituire un popolo, quanto alle futurità già esistenti nella gente, definite da un pensiero immanente.
LP Deleuze ci ha lasciato con l’immagine non del popolo ma della “gente che verrà”. Credo che occorra soffermarsi su come la concezione di gente sia diversa dal popolo e di come la cultura popolare (e su questo sono d’accordo con Tiziana) sia diversa dal populismo. In generale, come dice anche Alberto Toscano nella sua intervista, l’idea di popolo (per esempio richiamata da Jodi Dean) è un’idea problematica perché si dà per scontato il comunismo che sostiene questo “popolo”. Ritornando a Deleuze, l’idea di gente è forse rapportabile all’idea di massa maggioritaria – e quindi non di classe e nemmeno di populismo – ma proprio l’eterogeneità e la complessità dell’unità più elementare. La gente che verrà non è però un appello ad un futuro possibile, o un futuro saturo di immaginario post 9/11 (penso ad esempio alla serie televisiva Homeland, ma anche la rappresentazione di un nuovo tipo di femminismo come si vede nella serie TV Borgen). In questo senso, si tratta non di costituire un nuovo popolo, facendo un lavoro su sè stessi che assuma il pensiero come infinita riflessione. Si tratta piuttosto di una pratica teorica di natura speculare rivolta non tanto al cambiamento delle condizioni della gente, così che si possa costituire un popolo, quanto alle futurità già esistenti nella gente, definite da un pensiero immanente.
Sulle società di controllo
OC Gilles Deleuze nel Poscritto delle Società di Controllo, pubblicato nel maggio del 1990, afferma che, grazie alle illuminanti analisi di Michel Foucault, emerge una nuova diagnosi della società contemporanea occidentale. L’analisi deleuziana è la seguente: le società di controllo hanno sostituito le società disciplinari allo scollinare del XX secolo. Deleuze scrive che “il marketing è ora lo strumento del controllo sociale e forma la razza impudente dei nostri padroni”. Difficile dargli torto se valutiamo l’incontrovertibile fatto che, dietro a due avventure elettorali di strepitoso successo - Forza Italia e Movimento 5 Stelle - si stagliano due società di marketing: la Publitalia 80 di Marcello Dell’Utri e la Casaleggio Asssociati di Gianroberto Casaleggio. Meccanismi di controllo, eventi mediatici quali gli exit polls, sondaggi infiniti, banche dati in/penetrabili, data come commodities, spin-doctoring continuo, consensi in rete guidati da influencer, bot e social network opachi, digi-squadrismo, echo-chambering dominante, tracciabilità dei percorsi in rete tramite cookies, queste le determinazioni delle società post-ideologica (post-democratica?) neoliberale. Le miserie delle nuove tecniche di controllo rivaleggia solo con le miserie della “casa di vetro” della trasparenza grillina (il web-control, of course). Siamo nell’epoca della post-politica, afferma Jacques Ranciere: Come uscire dalla gabbia neo-liberale e liberarci dal consenso ideologico dei suoi prodotti elettorali? Quale sarà la riconfigurazione della politica - per un nuovo popolo liberato - dopo l’esaurimento dell’egemonia marxista nella sinistra ?
TT L'innovazione più forte degli ultimi dieci anni è stata indubbiamente quella del diventare 'sociale' dei media digitali. Invece del web semantico di cui parlava Tim Berners Lee abbiamo avuto il web sociale, ed è stata una genuina sorpresa per molti. La rete è esplosa quando l'organizzazione della comunicazione non è passata più prevalentemente per l'accesso individuale all'informazione, ma attraverso la relazione sociale ('amici', 'followers', 'contatti' etc.). Le reti sociali iniziano con gli amici e i conoscenti e si espandono velocissimamente estendosi a un mondo 'sconosciuto' ma familiarizzato da catene di relazioni. Sulla relazione sociale si è innestato un nuovo strato della comunicazione di rete sia nella forma degli onnipresenti bottoni 'mi piace', 'condividi', 'commenta' che ormai troviamo dappertutto, sia attraverso la proliferazione delle applicazioni per gli smart phone. Google, che con i suoi programmi AdSense e AdWords ha infiltrato tutto il web, per primo ha aperto la strada, seguito da tutti gli altri. Rispetto a questi processi, troviamo in questo momento due analisi dominanti. La prima è espressa da Jodi Dean, ma anche da Bernard Stiegler, in cui il problema è posto in termini di cattura e decomposizione delle pulsioni e dell'energia desiderante da parte del capitalismo comunicativo. Da questo punto di vista, il desiderio è più o meno completamente catturato dal capitalismo e trasformato in profitto, quindi privato della sua capacità costituente. La comunicazione continua si traduce in un nulla di fatto dal punto di vista dell'organizzazione politica. La seconda posizione è quella di Assange e Wikileaks: la comunicazione sociale è diventato il campo di battaglia per le nuove guerre di informazioni, in cui la trasparenza della comunicazione è visibilità totale della dissidenza rispetto allo sguardo coordinato di stato e capitale. Il rischio è di pensare alla tecnologia semplicemente come uno strumento di comando a cui si può rispondere solo o tornando alla vita reale o attraverso delle soluzioni tecniche (tipo la criptografia). Questa cibernetizzazione del sociale che è avvenuta così velocemente (alla velocità dell'evento si potrebbe dire) a me pare ponga delle domande nuove o, perlomeno, apra a delle problematiche diverse. Innanzitutto è evidente come metta in crisi una certa idea di società, diciamo, di matrice durkheimiana (una collettività che sovrasta gli individui e li determina attraverso la mediazione delle rappresentazioni), mettendo a nudo tutta una dinamica di flussi, di relazioni asimmetriche di cattura delle forze del cervello su cui appunto agiscono le tecniche che avete identificato. Diceva agli inizi del novecento Gabriel Tarde che Durkheim aveva potuto concepire la società in questi termini perché aveva delle statistiche grossolane e che, in futuro, la qualità e quantità della statistica avrebbe rilevato la complessità infinitamente differenziata del continuum sociale. Le modellizzazioni informatiche delle reti sociali stanno già rendendo obsolete quelle basate sulle leggi di potenza, sull'influenza determinante dei supernodi a cui ci aveva introdotto la network science appena agli inizi degli anni duemila. Certo è che la relazione sociale e il tessuto di relazioni sociali inteso tardianamente come tessuto asimmetrico di cattura delle forze sub-rappresentative e impersonali del cervello, sono investiti dalla cibernetica in modi che non avevamo immaginato e che, di fronte a questa cosa, non c'è da rassegnarsi al potere della tecnica, ma c’è da studiare, capire, attivarsi e sperimentare. Il fenomeno di pagine facebook, per esempio, che in pochissimo tempo riescono a catalizzare anche grandi masse e a portarle in strada per grandi manifestazioni, è impressionante e si presta da un lato alla manipolazione (chi inizia queste pagine? Facile capire qual'è il sentimento che gira in rete e catalizzarlo con una serie di parole chiave), ma dall'altro chiede, quasi, di diventare qualcosa di più continuativo nel tempo, di trovare luoghi e occasioni fisiche per precipitare in relazioni complesse.
LP Ritornando alla questione della tecnologia, credo che nel pensiero critico la tecnologia, le macchine e il regime di comunicazione basato sull’informazione, siano state combattute perché viste come strumento del potere, come incarnazione della ragione strumentale del potere. Questa visione critica, che cerca sempre di rispondere alla domanda quali sono le condizioni politiche e governative della tecnologia, rimanda inevitabilmente ad un appello al soggetto politico che è capace, invece, di scindere il reale dall’artificiale. La critica alla tecnologia sembra ancora essere divisa in due fazioni. Da un lato, una concezione strumentale della tecnologia come se fosse la mente e il braccio strumentale della manipolazione che i soggetti desiderano perché “vittime” del loro desiderio di repressione. Dall’altro, una concezione della tecnologia come potenziale – o come espressione di potenziale - di un soggetto politico che è immerso nell’ecologia macchinica. Quest’ultima concezione è stata comunque demonizzata perché troppo vicina e apologetica di un capitalismo che vuole far dimenticare il vero valore dello sfruttamento, il lavoro (in tutte le sue forme cognitive, affettive, pro-creative etc). Ma, di questa posizione, almeno, bisogna prendere la coraggiosa affermazione che la tecnologia non è uno strumento di potere ma una modalità di individuazione dell’energia.
La società del controllo anticipata da Deleuze è legata a un profondo cambiamento della cibernetica che e’ divenuta anche costitutiva del sociale. In particolare, il passaggio dal principio di comunicazione – definito da Shannon come uso dell’entropia per la trasmissione del segnale attraverso un canale capace di modulare e quindi di canalizzare il potenziale energetico - al principio cibernetico di feedback (nella sua formulazione di feedback negativo e positivo), sembra aver segnato una capacità manageriale, non solo di entrare nel sociale, ma di costituire il sociale. Prima dei social media, il problema del marketing era definito da messaggi molari, assiomi robusti, che rispecchiavano le condizioni sociali. Con la diffusione del paradigma cibernetico interattivo– esploso con i social media – il problema di riflettere un sociale già esistente è stato sostituito da una operatività informatica costruttiva del sociale. Questo forse è il punto più difficile da comprendere. Non è che il sociale è catturato dal pensiero meccanico della razionalità tecnocratica. Come direbbe Gilbert Simondon in 'Modi di Esistenza di un Oggetto Tecnico', non è la macchina a contenere il potere. Invece, ciò che molti vedono come un nuovo regime di chiarezza e trasparenza definito dalla datificazione di ogni tipo di esperienza, non è semplicemente il simbolo del potere, ma rivela anche il potere mascherato dietro l’appello alla liberazione politica dalla macchina burocratica. Ciò che infatti la macchina dell’informazione rivela è che la documentazione elettronica è anche un modo di svelare l’architettura di quel potere che non si fida del soggetto politico umano di essere capace di non costituire mafie e cadere in intrighi di favoritismo e di ingiustizia. Con questo non voglio dichiarare una specie di Machiavellismo dell’informazione, ma voglio solo suggerire che questo punto della manipolazione politica è tutto da scoprire e bisogna decomporlo ed esplorarlo dal punto di vista delle architetture dell’informazione. Il nuovo regime d’informazione non si rifà all’idea di opinione pubblica o di struttura di comunicazione basata sulla probabilità pre-stabilita. Il nuovo regime di cui parlo si base invece su un paradigma interattivo, non solo i meta-data, ma anche e più profondamente un’articolazione 'malvagia' dei media computazionali. Ciò significa che non si può semplicemente ascrivere alla tecnologia un’immediata tecnocrazia, perché appunto il paradigma interattivo mette in gioco ciò che si pensava non calcolabile: la qualità dall’espressione vissuta – la qualità della vita vissuta. In questo contesto, l’introduzione dell’incomputabile nel calcolo razionale del valore non è da sottovalutare. Ecco perché la tensione tra energia e informazione acquista una nuova sfaccettatura che bisogna poi usare nell’analisi della situazione politica. Non viviamo più in un universo laplaciano, dove tutto ritorna – o deve ritornare – alle condizioni primarie di misura.
Non è nemmeno che il sociale è a priori non costituibile ed eternamente topologico, cioè trasformativo, e quindi capace di sfuggire alle costrizioni rappresentative dell’algoritmo. Infatti, ciò che a mio avviso bisogna pensare è esattamente la natura di questo pensiero meccanico o di questa ragione meccanica nella costituzione della socialità. Per Deleuze e Guattari, il meccanicismo del pensiero era esattamente espresso nel principio computazionale della comunicazione da cui le strategie di marketing che descrivi nella tua domanda assumono le loro qualità virali, memetiche, che mettono insieme le folle (di cui parla così bene Canetti) proprio attraverso la modulazione energetica del sentire. Si è parlato tanto negli ultimi dieci anni dell’operazione cibernetica di cattura e di valorizzazione di affettività (sia nel discorso sul marketing che nel discorso sulla sicurezza). Quello che ho capito studiando le teorie dell’informazione e della computazione è che la tanto antagonistizzata univocità tra informazione ed energia – che è al cuore della cibernetica interattiva – non si può più criticare, forse, attraverso un principio di continua differenziazione per cui il controllo non riesce a catturare il sociale energetico di tutti gli esseri (organici e non). Invece, bisogna riconoscere una realtà dinamica dell’informazione stessa che si addiziona alla dinamicità energetica, ma non sono sullo stesso piano. Questa non è una differenza di piani, ma un’asimmetria o un taglio ontologico per cui le parti del reale non si fondono in unità, ma proliferano asimmetricamente e pertanto non ci può essere presa diretta tra algoritmi e affettività dipendente dalla capacità totalizzante dell’uno o dell’altro. La questione dell’algoritmo interattivo infatti non corrisponde semplicemente all’idea che il sociale di oggi è pre-costituito. Ciò che abbiamo imparato dagli algoritmi interattivi (dall'online trading al marketing informazionale) è che il principio computazionale per cui operano include un nuovo tipo di meccanizzazione o automazione che non contiene ma genera data, che non limita ma rigenera il potenziale, che riduce l’incomputabile a una probabilità effettiva. Per capire questo tipo di controllo, c’è quindi bisogno di ripensare al tipo di automazione che stiamo vivendo e quindi di esplorare il sociale informatico al di là di una critica tout court della cibernetica.
Luciana Parisi, italiana, vive e lavora a Londra. E' Reader in Cultural Studies al Goldsmiths College, University of London (UK) dove gestisce il PhD programme al Centre for Cultural Studies. La sua ricerca analizza i rapporti tra scienza e filosofia, cibernetica e informazioni, tecnologia e politica per formulare una critica del capitalismo e, al tempo stesso, indagare le reali possibilità di cambiamento. Durante gli anni Novanta del secolo scorso ha lavorato con il Cybernetic Culture Research Unit a Warwick (Uk) e ha scritto alcuni saggi in collaborazione con Steve Goodman (conosciuto nel mondo della musica come "dominus" del dubstep con il nickname di Kode 9). Nel 2004 ha pubblicato con MIT Press il libro Abstract Sex: Philosophy, Biotechnology and the Mutations of Desire, dove ha descritto l'impasse critico tra le nozioni di corpo, sessualità, "genere" e lo stato attuale degli studi di scienze e tecnologie. Il suo ultimo lavoro sui modelli architettonici e il ruolo degli algoritmi nel design interattivo e in architettura è Contagious Architecture. Computation, Aesthetics and Space (MIT Press, Usa, novembre 2013). LP Ritornando alla questione della tecnologia, credo che nel pensiero critico la tecnologia, le macchine e il regime di comunicazione basato sull’informazione, siano state combattute perché viste come strumento del potere, come incarnazione della ragione strumentale del potere. Questa visione critica, che cerca sempre di rispondere alla domanda quali sono le condizioni politiche e governative della tecnologia, rimanda inevitabilmente ad un appello al soggetto politico che è capace, invece, di scindere il reale dall’artificiale. La critica alla tecnologia sembra ancora essere divisa in due fazioni. Da un lato, una concezione strumentale della tecnologia come se fosse la mente e il braccio strumentale della manipolazione che i soggetti desiderano perché “vittime” del loro desiderio di repressione. Dall’altro, una concezione della tecnologia come potenziale – o come espressione di potenziale - di un soggetto politico che è immerso nell’ecologia macchinica. Quest’ultima concezione è stata comunque demonizzata perché troppo vicina e apologetica di un capitalismo che vuole far dimenticare il vero valore dello sfruttamento, il lavoro (in tutte le sue forme cognitive, affettive, pro-creative etc). Ma, di questa posizione, almeno, bisogna prendere la coraggiosa affermazione che la tecnologia non è uno strumento di potere ma una modalità di individuazione dell’energia.
La società del controllo anticipata da Deleuze è legata a un profondo cambiamento della cibernetica che e’ divenuta anche costitutiva del sociale. In particolare, il passaggio dal principio di comunicazione – definito da Shannon come uso dell’entropia per la trasmissione del segnale attraverso un canale capace di modulare e quindi di canalizzare il potenziale energetico - al principio cibernetico di feedback (nella sua formulazione di feedback negativo e positivo), sembra aver segnato una capacità manageriale, non solo di entrare nel sociale, ma di costituire il sociale. Prima dei social media, il problema del marketing era definito da messaggi molari, assiomi robusti, che rispecchiavano le condizioni sociali. Con la diffusione del paradigma cibernetico interattivo– esploso con i social media – il problema di riflettere un sociale già esistente è stato sostituito da una operatività informatica costruttiva del sociale. Questo forse è il punto più difficile da comprendere. Non è che il sociale è catturato dal pensiero meccanico della razionalità tecnocratica. Come direbbe Gilbert Simondon in 'Modi di Esistenza di un Oggetto Tecnico', non è la macchina a contenere il potere. Invece, ciò che molti vedono come un nuovo regime di chiarezza e trasparenza definito dalla datificazione di ogni tipo di esperienza, non è semplicemente il simbolo del potere, ma rivela anche il potere mascherato dietro l’appello alla liberazione politica dalla macchina burocratica. Ciò che infatti la macchina dell’informazione rivela è che la documentazione elettronica è anche un modo di svelare l’architettura di quel potere che non si fida del soggetto politico umano di essere capace di non costituire mafie e cadere in intrighi di favoritismo e di ingiustizia. Con questo non voglio dichiarare una specie di Machiavellismo dell’informazione, ma voglio solo suggerire che questo punto della manipolazione politica è tutto da scoprire e bisogna decomporlo ed esplorarlo dal punto di vista delle architetture dell’informazione. Il nuovo regime d’informazione non si rifà all’idea di opinione pubblica o di struttura di comunicazione basata sulla probabilità pre-stabilita. Il nuovo regime di cui parlo si base invece su un paradigma interattivo, non solo i meta-data, ma anche e più profondamente un’articolazione 'malvagia' dei media computazionali. Ciò significa che non si può semplicemente ascrivere alla tecnologia un’immediata tecnocrazia, perché appunto il paradigma interattivo mette in gioco ciò che si pensava non calcolabile: la qualità dall’espressione vissuta – la qualità della vita vissuta. In questo contesto, l’introduzione dell’incomputabile nel calcolo razionale del valore non è da sottovalutare. Ecco perché la tensione tra energia e informazione acquista una nuova sfaccettatura che bisogna poi usare nell’analisi della situazione politica. Non viviamo più in un universo laplaciano, dove tutto ritorna – o deve ritornare – alle condizioni primarie di misura.
Non è nemmeno che il sociale è a priori non costituibile ed eternamente topologico, cioè trasformativo, e quindi capace di sfuggire alle costrizioni rappresentative dell’algoritmo. Infatti, ciò che a mio avviso bisogna pensare è esattamente la natura di questo pensiero meccanico o di questa ragione meccanica nella costituzione della socialità. Per Deleuze e Guattari, il meccanicismo del pensiero era esattamente espresso nel principio computazionale della comunicazione da cui le strategie di marketing che descrivi nella tua domanda assumono le loro qualità virali, memetiche, che mettono insieme le folle (di cui parla così bene Canetti) proprio attraverso la modulazione energetica del sentire. Si è parlato tanto negli ultimi dieci anni dell’operazione cibernetica di cattura e di valorizzazione di affettività (sia nel discorso sul marketing che nel discorso sulla sicurezza). Quello che ho capito studiando le teorie dell’informazione e della computazione è che la tanto antagonistizzata univocità tra informazione ed energia – che è al cuore della cibernetica interattiva – non si può più criticare, forse, attraverso un principio di continua differenziazione per cui il controllo non riesce a catturare il sociale energetico di tutti gli esseri (organici e non). Invece, bisogna riconoscere una realtà dinamica dell’informazione stessa che si addiziona alla dinamicità energetica, ma non sono sullo stesso piano. Questa non è una differenza di piani, ma un’asimmetria o un taglio ontologico per cui le parti del reale non si fondono in unità, ma proliferano asimmetricamente e pertanto non ci può essere presa diretta tra algoritmi e affettività dipendente dalla capacità totalizzante dell’uno o dell’altro. La questione dell’algoritmo interattivo infatti non corrisponde semplicemente all’idea che il sociale di oggi è pre-costituito. Ciò che abbiamo imparato dagli algoritmi interattivi (dall'online trading al marketing informazionale) è che il principio computazionale per cui operano include un nuovo tipo di meccanizzazione o automazione che non contiene ma genera data, che non limita ma rigenera il potenziale, che riduce l’incomputabile a una probabilità effettiva. Per capire questo tipo di controllo, c’è quindi bisogno di ripensare al tipo di automazione che stiamo vivendo e quindi di esplorare il sociale informatico al di là di una critica tout court della cibernetica.
Tiziana Terranova, italiana, vive e lavora a Napoli. E' ricercatrice contemporanea, docente di “Studi culturali e media' e “Teorie culturali e nuovi media” presso l'Università degli Studi di Napoli 'L'Orientale'. Dopo essersi laureata presso la facoltà di Lingue e Letterature Straniere del Dipartimento di Studi Americani, Culturali e Linguistici dell’Università di Napoli prosegue le sue ricerche su media, studi culturali e nuove tecnologie, spinta dalla passione per questo settore. L'approfondimento di tali tematiche avverrà in Inghilterra dove consegue un master in “Communications and Technology” presso la Brunel University. Consegue successivamente il titolo accademico di dottore di ricerca in Media and Communications presso il Goldsmiths’ College. Tiziana Terranova si occupa all'epoca di sottoculture tecnologiche, di cyberpunk, e a metà degli anni ’90 redige una delle prime tesi di dottorato su internet sui newsgroups e la cultura tecno californiana. Altra esperienza importante per il suo percorso intellettuale si svolge a Londra, presso il Dipartimento di Cultural Studies dell’Università di “East London”, dove fonda e dirige insieme a Helene Kennedy uno dei primi corsi di Multimedia, partecipando in prima persona all’avvio dei corsi universitari in “Media e New Media Studies”. I suoi attuali interessi riguardano la cultura digitale e i fenomeni che attorno ad essa si sviluppano. Di assoluta rilevanza internazionale il suo libro Culture Network, edito in Italia, nel 2006, da Il Manifesto edizioni. L'ultimo suo saggio s'intitola 'Capitalismo cognitivo e vita neurale' ed è apparso nel maggio 2013 all'interno dell'e.book 'Lo stato della mediazione tecnologica' a cura di Giorgio Griziotti (Speciale Ipermedia - Alfabeta edizioni).
Bibliografia
1) testi di riferimento alla domanda Sul micro-fascismo
Wu Ming, Yet another right-wing cult coming from Italy, via Wu Ming blog.
Wu Ming, Yet another right-wing cult coming from Italy, via Wu Ming blog.
Wilhelm Reich, Psicologia di massa del fascismo - Einaudi, 2002
Gilles Deleuze, Félix Guattari, Mille Piani, Castelvecchi, 2010
Gilles Deleuze, L’isola deserta e altri scritti, Einaudi, 2007 (cfr. pg. 269, 'Gli Intellettuali e il Potere', conversazione con Michel Foucault del 4 marzo 1972) “Questo sistema in cui viviamo non può sopportare nulla: di qui la sua radicale fragilità in ogni punto e nello stesso tempo la sua forza complessiva di repressione” (intervista a Deleuze e Foucault, pg. 264)

2) testi di riferimento alla domanda Sulla Crisi
Slavoj Zizek, First as Tragedy, then as Farce. Verso, Uk, 2009 (pg. 17)
Slavoj Zizek, First as Tragedy, then as Farce. Verso, Uk, 2009 (pg. 17)
3) testi di riferimento alla domanda Sull'organizzazione
Gilles Deleuze-Félix Guattari - Millepiani (Castelvecchi, III edizione, Novembre 2010): Nono Piano: 1933 Micro-politica e segmenterietà. (pg.265 - “Daniel Guèrin (La peste brune, 1933) ha ragione nel dire che Hitler, e non lo Stato maggiore tedesco, ha conquistato il potere in quanto disponeva anzitutto di micro-organizzazioni che gli conferivano “un mezzo incomparabile, insostituibile, per penetrare in tutte le cellule della società”, segmentarietà flessibile, molecolare, flussi capaci di irrorare cellule di ogni genere”
Daniel Guérin - The Brown Plague - DUP, Usa, 1994
Gilles Deleuze-Fèlix Guattari - Apparato di cattura - Sezione IV di Millepiani (Castelvecchi, I edizione, maggio 1997): Piano 15: Regole concrete e macchine astratte (pg. 150 - “Un movimento è assoluto quando, quali che siano la sua quantità e la sua velocità, rapporta “un corpo” considerato come molteplice ad uno spazio liscio che occupa in maniera vorticosa”)
4) testi di riferimento alla domanda Sull'onda anomala
Franco Berardi - La sconfitta dell’anti-Europa liberista comincia in Italia - Micromega website:
http://blog-micromega.blogautore.espresso.repubblica.it/2013/02/27/franco-bifo-berardi-la-sconfitta-dellanti-europa-liberista-comincia-in-italia/
Istituto Cattaneo - http://www.cattaneo.org
Gilles Deleuze, Félix Guattari - Millepiani - Castelvecchi, 2010 (pg.249 - 1874. tre novelle o “che cosa è accaduto”?)

5) testi di riferimento alla domanda Sul popolo che manca
Mario Tronti, 'C’è populismo perché non c’è popolo', in Democrazia e Diritto, n.3-4/2010.
Mario Tronti, 'C’è populismo perché non c’è popolo', in Democrazia e Diritto, n.3-4/2010.
Paul Klee, Diari 1898-1918. La vita, la pittura, l’amore: un maestro del Novecento si racconta - Net, 2004
Gilles Deleuze, Fèlix Guattari, Millepiani (in '1837. Sul Ritornello' pg. 412-413)
6) testi di riferimento alla domanda Sul controllo
Jacques Ranciere, Disagreement. Politics and Philosophy, UMP, Usa, 2004
Jacques Ranciere, Disagreement. Politics and Philosophy, UMP, Usa, 2004
Gilles Deleuze, Pourparler, Quodlibet, Ita, 2000 (pg. 234, 'Poscritto sulle società di controllo')
Saul Newman, 'Politics in the Age of Control', in Deleuze and New Technology, Mark Poster and David Savat, Edinburgh University Press, Uk, 2009, pp. 104-122. 
Dipinto: Stelios Faitakis
Nessun commento:
Posta un commento