giovedì 12 febbraio 2015

Franco Berardi: Riflessioni sull'orlo dell'abisso @ Micromega, 12 febbraio 2015


Franco Berardi: Riflessioni sull'orlo dell'abisso @ 

Micromega, 12 febbraio 2015


Un enigma

C’è un enigma al cuore della situazione europea: quali sono le intenzioni della classe dirigente tedesca? Quali sono le sue aspettative riguardo al futuro dell’Unione? Non si rendono conto dei pericoli (vittoria delle destre nazionaliste, crollo dell’Unione, guerra euro-russa) che si delineano all’orizzonte dopo cinque anni di austerity che hanno costantemente peggiorato le condizioni di vita della popolazione europea?
Anche in Germania comincia a manifestarsi qualche voce di dissenso nei confronti della politica del gruppo dirigente che ha modellato l’Unione europea secondo una cultura austeritaria. Il sindacato metalmeccanico e alcuni intellettuali chiedono al governo tedesco di moderare la sua furia distruttiva. Tutti conoscono le posizioni critiche di Ulrich Beck negli ultimi anni della sua vita. L’economista Rudolf Hickel ha descritto le politiche di austerità come un trasferimento di risorse dalla società verso il sistema bancario. E lo storico Karl Heinz Roth ha quantificato in 80 miliardi di Euro le riparazioni di guerra che la Germania deve alla Grecia, e ha sottolineato il significato morale di questo punto.
Ma ora è necessario che un movimento culturale si esprima in Germania non solo per evitare uno scontro fatale con il popolo greco, ma anche per ripensare la prospettiva stessa dell’Unione.
Talvolta si ha l’impressione che la Germania sia disposta a giocare il gioco dell’Unione solo a patto che l’Europa intenda diventare tedesca. Si tratta di un compito irrealizzabile perché la complessità d’Europa è irriducibile.
Inoltre l’equilibrio economico tedesco non si può tradurre in termini europei: l’economia tedesca ha evitato una totale deterritorializzazione, in conseguenza dello scambio imposto ai lavoratori dal governo “rosso-verde”: manteniamo in Germania i luoghi di produzione e in cambio voi accettate un immiserimento dei salari. Pensiamo che la Grecia (o l’Italia, per esempio) possano andare sulla stessa strada? Agli occhi dei tedeschi i paesi mediterranei sono luoghi di vacanza e soprattutto consumatori dei prodotti tedeschi. Per poter garantire le loro esportazioni hanno accettato nei paesi importatori quello che combattevano a casa loro: un grosso settore pubblico, evasione fiscale e indebitamento. Per questo l’arrogante messaggio del governo tedesco: “fate come noi.” Non ha senso. Ogni paese europeo dovrebbe diventare il campione dell’export.
L’incrollabile (Unerschutterlich) determinazione con cui il ceto politico-finanziario tedesco ha imposto e pretende di mantenere la politica di pareggio di bilancio fa paura e sembra nascondere la volontà solo parzialmente conscia di distruggere l’Unione. Ma non penso che la tetra determinazione tedesca derivi da un calcolo consapevole. Penso che il ceto finanzista sia spinto all’arroganza e al disprezzo nei confronti dei paesi mediterranei d’Europa da qualcosa che è più profondo di una strategia consapevole.

Se Syriza è sconfittà l’Europa è finita

Il movimento del 2011 – da Occupy Wall Street all’Acampada Spagnola – ha prodotto un effetto importante di riattivazione della corporeità collettiva, ma non è riuscito minimamente a intercettare, meno che mai bloccare, l’aggressione finanzista. Syriza ha tratto legittimità e forza dall’occupazione di Syntagma, ma ha saputo tradurre quella forza in un processo elettorale che ora intercetta finalmente la sfera della decisione finanziaria e sembra per la prima volta in grado di riattivare l’autonomia della società rispetto alla dinamica finanziaria che fino a ieri sembrava del tutto impermeabile alla democrazia, all’opinione, alla mobilitazione della società.
Se le istituzioni europee si riveleranno, come al momento appare probabile, del tutto succubi al diktat tedesco, e non permetteranno al governo greco di ottenere una rinegoziazione del debito, assisteremo probabilmente a un fenomeno nuovo: la fuoriuscita della società greca dalla sfera semiotica dell’economia monetaria, lo sganciamento della sfera del comune dal dominio finanziario, dalla marcatura semiotica che trasforma l’utile e il necessario in varianti dipendenti dall’assolutismo della valorizzazione finanziaria.
L’esperimento Syriza non può perdere, ed è compito di ogni persona libera fare qualsiasi cosa sia necessaria e utile (qualsiasi cosa) perché il popolo greco non venga schiacciato, umiliato, distrutto. Non solo per solidarietà con il popolo greco, ma perché se perde Syriza allora non vi sarà più alcuna possibilità di salvezza. La sconfitta di Syriza aprirebbe la strada alla barbarie fascista su scala europea. Prima di tutto in Grecia naturalmente poi in Francia. Ma al tempo stesso la sconfitta di Syriza farebbe precipitare l’odio anti-tedesco che dovunque in Europa serpeggia sotto pelle. E allora l’Unione sarebbe ridotta a una gabbia finanziaria entro la quale sono costretti a convivere (ma per quanto?) forze nazionaliste che si odiano e che si preparano alla guerra.

L’etica del lavoro è fuori fuoco

L’Unione europea fu concepita nelle convulsioni della seconda guerra mondiale e fu prima di tutto un tentativo di superare la guerra nazionale tra Francia e Germania, manifestazione politica della dialettica che oppone la Ragione universale e i diritti umani, al culto romantico dell’appartenenza, della memoria e del territorio.
Ma questa era solo la prima parte del lavoro. C’è un altro compito culturale che gli europei hanno mancato di svolgere. Elaborare la divisione tra etica del lavoro borghese (in cui ha giocato un ruolo decisivo la cultura Protestante della responsabilità), e ridotta responsabilità individuale nella sfera mediterranea, cattolica e ortodossa.
Questa divisione non è mai stata esplicitamente affrontata. Al contrario, gli intellettuali dei paesi del sud, e la classe politica soprattutto di sinistra hanno dato per scontata la superiorità valoriale e funzionale della cultura protestante, hanno spesso identificato nel senso protestante di responsabilità individuale il segno della modernità che manca alle popolazioni mediterranee.
In Italia modernizzazione e lotta alla corruzione sono sempre state identificate con un progetto di allineamento alle forme politiche dell’Europa protestante. Questa posizione era certamente fondata nella prima metà del XX secolo, quando il progresso industriale richiedeva la formazione di una cultura della responsabilità e del merito. Ma ha senso ancora?
I mediterranei debbono imparare la lezione Protestante (fare i compiti a casa) o debbono mettere in questione la legittimità e l’utilità dell’idea secondo cui i debiti si debbono pagare, e solo il duro lavoro può portare la prosperità?
Io penso che la seconda ipotesi sia quella giusta: dal punto di vista dell’utile sociale e anche dal punto di vista dell’etica civile dobbiamo mettere in questione la superiorità del senso di responsabilità protestante, l’osservanza delle regole e l’implicita colpevolizzazione. L’etica borghese del lavoro non ha più alcuna utilità sociale né valore universale quando il capitalismo esce dalla sua forma borghese industriale.
La Riforma Protestante fu certamente fondamentale nella creazione dell’etica borghese che ha reso possibile il moderno progresso industriale. La proprietà privata, il giusto compenso del lavoro erano principi in qualche modo fondati sull’interesse comune: l’espansione della comunità, la crescita della produzione e del consumo. Valori etici e interesse comune erano legati.
Il duro lavoro meritava di essere compensato non solo per il suo supposto valore intrinseco, ma anche perché pagare il lavoro era la sola maniera di sviluppare un senso di responsabilità nell’insieme della società. La responsabilità significava rispetto dell’interesse comune. Ma ora che il capitalismo finanziario ha deterritorializzato la produzione e resa indeterminabile la stessa fonte del valore, le condizioni condivise del comportamento etico si sono dissolte. Le fluttuazioni del mercato finanziario hanno poco a che fare con il comportamento responsabile degli azionisti: al contrario i profitti finanziari dipendono sempre di più dalla violazione dell’interesse comune, come si è visto nel caso della recente bancarotta provocata dai mutui ipotecari americani. I fondamenti morali della società moderna erano la responsabilità della borghesia e la solidarietà tra lavoratori.
Il borghese protestante era responsabile davanti a Dio e alla comunità territoriale perché da loro dipendeva la prosperità. Il lavoratore provava solidarietà con i suoi colleghi per la coscienza di condividere gli stessi interessi. Entrambi questi fondamenti dell’etica moderna si sono dissolti. Il capitalista post-borghese non si sente responsabile per la comunità e per il territorio perché il capitalismo finanziario è totalmente deterritorializzato e non ha alcun interesse nel futuro benessere della comunità. D’altra parte il lavoratore post-fordista non condivide più lo stesso interesse dei suoi colleghi ma è costretto a competere ogni giorno contro gli altri lavoratori per un lavoro per un salario nel mercato del lavoro deregolato. Nel quadro di questa nuova organizzazione precaria del lavoro costruire solidarietà diviene un compito sempre più difficile.

La regola e la misura

Nella sfera della civiltà borghese moderna la regola era fondata su una relazione misurabile tra valore e tempo di lavoro. Questo non è più vero nella sfera del semiocapitalismo: il lavoro cognitivo è sempre meno riducibile a una misura comune. E il capitale finanziario non è il prodotto di risparmi, parsimonia e accumulazione del prodotto del duro lavoro. E’ l’effetto di un potere arbitrario, fondato sulla persuasione, l’inganno e la violenza.
La borghesia era essenzialmente una classe legata al territorio. La stessa definizione di questa classe era riferita al territorio del borgo. In quel luogo le energie produttive si riunivano, e si proteggeva la proprietà. Anche la ricchezza del borghese era territorializzata, e l’accumulazione di capitale era resa possibile dalla produzione di cose fatte di materiali fisici legati al luogo, al territorio. Tempo di lavoro e territorio erano le condizioni della misura razionale universale. Mentre la cultura Barocca sottolinea l’ambiguità e la multiforme ingannevole natura del linguaggio, la cultura protestante è fondata sull’assunzione di una relazione fissa tra segno e significato, tra significante e significato.
I governanti tedeschi insistono sulla necessità di rispettare le regole. Ma quale regola impone al popolo greco di pagare per l’evasione fiscale del ceto finanziario globale? E chi ha detto che occorre lavorare di più quando le tecnologie rendono il lavoro umano superfluo, eccedente, e quindi sempre più disoccupato?

Franco Berardi “Bifo”
(12 febbraio 2015)

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