Martino Mazzonis:
Stati Uniti, il midterm e l'ossessione per i soldi
@ Pagina99.it (qui l'articolo)
Le mailboxes dei simpatizzanti dei partiti americani vengono inondate di richieste di denaro dai partiti, che stanno spendendo come non mai per aggiudicarsi la maggioranza in Senato nel voto del 4 novembre prossimo. Quanto spendono, per cosa e che tecniche usano per convincere gli elettori a donare?
Mancano quattro settimane alle elezioni di mezzo termine (si vota il 4 novembre) e nessuno negli States sembra particolarmente eccitato all'idea di andare a votare. In queste elezioni che eleggono la Camera e un terzo del Senato, i tassi di partecipazione sono sempre molto più bassi di quelli delle presidenziali. Eppure da qui escono maggioranze e possibilità o meno per il presidente in carica di riuscire a portare vanti la propria agenda. Dopo il disastro provocato dal Tea Party nel 2010, Obama ha avuto una vita difficile.
Se gli elettori non sembrano entusiasti, i partiti, che invece dipendono da quel voto, anche se alle urne si recasse il 5% dell'elettorato, sono in campagna elettorale full steam. O per meglio dire sono attivissimi sul fronte della raccolta fondi. Del resto, i soldi spesi da gennaio a oggi per le campagne elettorali (ovvero comprare spot Tv, organizzare i volontari sul campo, analizzare i dati delle precedenti elezioni, pagare consulenti e spin doctors) sono 233 milioni di dollari. Una valanga, specie se si considera che il grosso è diretto a poche contese al Senato. Il nodo della tenuta dei democratici nella camera alta è infatti la grande incognita del voto e, di conseguenza, le risorse vengono tutte dirottate a sostenere 10 corse in Iowa, Colorado, Georgia, Arkansas, Virginia, etc. La tabella qui sotto riporta i numeri delle corse nelle quali fino ad oggi si è speso di più. In alcuni casi sono le campagne a fare la parte del gigante - evidentemente i candidati sono forti e hanno loro rete di finanziatori), in altri è quello che nella tabella del Centre for responsive politics è classificato come outside spending, ovvero i soldi investiti da gruppi privati e SuperPac su un candidato. I casi in cui i soldi esterni, spesso anche provenienti dal di fuori dello stato, sono più di quelli della campagna del candidato, sono quelli sui quali i partiti nazionali hanno più preoccupazioni o speranze e, per provare a vincere, investono forte.
Ad avere le casse più piene sono ancora una volta le organizzazioni estranee ai partiti, i SuperPac autorizzati dalla Corte Suprema a raccogliere soldi anonimi e spenderli. Una decisione controversa, molto criticata che ha reso le campagne elettorali ancora più ricche (o costose) di quanto non avvenisse in passato, quando qualche limite alla spesa c'era e tutte le donazioni dovevano essere pubbliche. Come segnala questa analisi del Wesley Media Project, la maggior parte dei soldi spesi va in spot e la maggior parte degli spot sono negativi, attaccano l'avversario, non cercano di convincere della bontà del candidato. Un fenomeno anche questo in crescita: dal 2010 in poi si tende a demolire, non a costruire (un esempio non particolarmente aggressivo, sotto la tabella). Una tendenza che resta alta tra un ciclo elettorale e l'altro (anche se fino ad oggi i dati 2014 sono leggermente più bassi di quelli 2012, ma c'è ancora un mese).
Che i partiti siano impegnati in una corsa ossessiva verso i quattrini necessari a rendere competitive le varie corse per i seggi al Senato (o per il governatore della Florida, stato cruciale, chi non ricorda la notte i giorni del recount nel 2000?) lo testimoniano le mailbox degli sciagurati che hanno lasciato il loro indirizzo di email a qualche organizzazione di un partito o dell'altro. E che sono diventati parte dei Big Data nelle mani dei partiti (o dei SuperPac). Un buon esempio? Il sottoscritto è abbonato o ha lasciato l'indirizzo a molte organizzazioni, campagne, mailing list di singoli di entrambi i partiti. E oggi, solo oggi, ho ricevuto 26 messaggi che chiedono soldi. Si va dai candidati locali alle loro mogli, dai capi delle organizzazioni a testimonial di eccellenza (il capo dell'organizzazione repubblicana Priebus o il cervello di Bush Karl Rove), dalla paladina dei liberal Elizabeth Warren, che spedisce un messaggio al paese via MoveOn, organizzazione di mobilitazione politica ed enorme rete online di raccolta fondi. Il tono dei messaggi spediti è di grande interesse perché ci dice qual'è la carta che i partiti, i loro strateghi e analisti di Big Data, ritengono sia la migliore da giocare per motivare l'elettore. Meglio spaventarlo o farlo sentire parte di una battaglia vincente. Dipende da molte cose. Normalmente, così almeno scriveva Sasha Issenberg nel suo The Victory Lab, volume definitivo sulle tecniche di campagna elettorale nell'era dei Big Data, per convincere l'elettore ad andare ai seggi, il messaggio deve essere positivo: "Fai la storia", "Partecipa a questa grande cosa", "Rendi migliore il Colorado". Ma questa è la tecnica da ultimo momento, quella del door to door, del volontario che ti parla davanti alla porta di casa. Per chiedere soldi sembra invece di capire dai subject delle mail ricevute, che l'allarme sia la strada giusta. In questo ciclo elettorale i democratici stanno raggranellando più dei repubblicani con oggetti come "E' finita, ci hanno ripreso" o "Disastro democratico". Il partito di Obama punta insomma ad allarmare il proprio elettorato più fedele, racconta che la catastrofe è a un millimetro e che i dollari donati possono fare la differenza. Da parte repubblicana c'è invece la narrazione opposta: "F-A-N-T-A-S-T-I-C-O!" è l'oggetto di una mail di Reince Priebus che spiega quanti soldi stiano arrivando in cassa; "Siamo pari!" è il messaggio di Scott Brown, candidato che in teoria dovrebbe uscire sconfitto ma ha carte da giocare; "Per il prezzo di un panino puoi cambiare il paese" è quello di un messaggio che chiede di donare 5 dollari. Infine c'è l'attacco a Obama che in generale serve a mobilitare gli elettori più arrabbiati, la destra del partito. I soldi servono eccome. Non solo a pagare spot. Le elezioni si vincono portando gente alle urne: la partecipazione al voto è bassa e il porta a porta accompagnato dai Big data è cruciale. Gli elettori repubblicani, più vecchi e più costanti, vanno alle urne più spesso, i democratici, più giovani e appartenenti a minoranze, ci vanno di meno, vanno convinti in qualche modo speciale. Che sia un candidato giovane capace di mobilitare le masse come Obama, un referendum sui diritti o la paura di quel che può succedere. Per questo i democratici spendono tanto e cercano un'idea forte da proporre. Alcuni prendendo le distanze dal presidente, altri usando Bill Clinton (nel suo Arkansas, seggio cruciale) e altri ancora rivendicando l'importanza della riforma sanitaria. Al momento i repubblicani sembrano avere buone chance di prendersi anche il Senato. Molto dipenderà dal messaggio di Obama in questi giorni, dalla capacità organizzativa delle campagne e da come verranno spesi i milioni raccolti.
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