giovedì 27 dicembre 2012

David Graeber - Debito. I primi 5.000 anni - Il Saggiatore, It, 2012


David Graeber, l’antropologo alle origini del movimento di Seattle e del movimento Occupy (suo lo slogan «Siamo il 99%»), rivoluziona la teoria sociale ed economica in un libro destinato a rimanere nel tempo. In uno stile colloquiale e diretto, attraverso l’indagine storica, antropologica, filosofica, teologica, Graeber ribalta la versione tradizionale sulle origini dei mercati. Mostra come l’istituzione del debito sia anteriore alla moneta e come da sempre sia oggetto di aspri conflitti sociali: in Mesopotamia i sovrani dovevano periodicamente rimediare con giubilei alla riduzione in schiavitù per debiti di ampie fasce della popolazione, pena la deflagrazione di tutta la società. Da allora, la nozione di debito si è estesa alla religione come cifra delle relazioni morali («rimetti a noi i nostri debiti») e domina i rapporti umani, definendo libertà e asservimento. Mercati e moneta non sorgono automaticamente dal baratto, come sostengono gli economisti fin dai tempi di Adam Smith, ma vengono creati dagli stati, che tassano i sudditi per finanziare le guerre e pagare i soldati. In quest’ottica, il conio della moneta si diffonde per imporre la sovranità dello stato e assicurare il pagamento uniforme dei tributi. L’economia commerciale, basata sulla calcolabilità impersonale, eclissa così le economie umane, basate sulla reciprocità personale. Gli ultimi 5000 anni di storia hanno visto l’alternarsi di fasi di moneta aurea e moneta creditizia, fino al definitivo abbandono dell’oro come base del sistema monetario internazionale nel 1971. Graeber guarda agli sviluppi di Europa, Medio Oriente, India e Cina, e individua tre grandi cicli nella lunga storia del debito. L’Età assiale (dall’800 a.C. al 600 d.C.), in cui si impone il potere di conio degli imperi e le grandi religioni fanno la loro comparsa. Il Medioevo, dove l’economia viene demonizzata, in Europa come in Cina. L’età degli imperi capitalisti, delle grandi conquiste e del ritorno allo schiavismo, che vede il mondo inondato d’oro e d’argento. Graeber esplora infine la crisi attuale, nata dall’abuso di creazione di strumenti finanziari ilSaggiatore da parte delle grandi banche deregolamentate, esostiene la superiorità morale di cittadini e stati indebitati rispetto a creditori corrotti e senza scrupoli che vogliono ridurre libertà e democrazia alla misura dello spread sui titoli pubblici. David Graeber (1961) è un antropologo e un attivista. È stato professore a Yale, da dove è stato allontanato, qualcuno sostiene per ragioni politiche. Oggi insegna Antropologia sociale presso la Goldsmiths, University of London.

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RIVOLUZIONARI 2.0 @ D La Repubblica delle Donne
Cambiare il mondo si può, magari a colpi di parole. Lo pensa David Graeber, leader del movimento Occupy Wall Street
David Graeber, teorico e fondatore di Occupy Wall Street, il movimento di contestazione pacifica che denuncia gli abusi del capitalismo finanziario angloamericano, è seduto di fronte a me, in una tavola calda romana. Graeber, cinquantunenne con una faccia da ragazzo, professore universitario (ha una cattedra di antropologia sociale alla Goldsmiths University di Londra, ma ha insegnato a Yale, da dove pare sia stato allontanato per motivi politici), nel settembre 2011 è stato l’anima dell’occupazione dello Zuccotti Park a New York. Due mesi prima era uscito il suo libro Debito. I primi 5.000 anni : ora Il Saggiatore lo pubblica in Italia. Si tratta di un’indagine storica, antropologica, filosofica e teologica, che ribalta la versione tradizionale sull’origine dei mercati e parla di capitalismo corrotto, ma anche di chi l’ha ispirato e sostenuto.
Mister Graeber, il libro parla di “confusione morale” attorno al concetto di debito. Che cosa intende esattamente?
«Guardando agli ultimi cinquemila anni di storia, ho scoperto che è stato sempre legato a una concezione fortemente moralista, nel senso che pagare un debito è ritenuto un comportamento moralmente doveroso. Nello stesso tempo si pensa che gli usurai (e chi presta soldi per interesse) siano malvagi. Ma se si ragiona sul tema, si capisce che le cose non sono così lineari. E ho iniziato a farmi domande».
Non crede che pagare un debito sia giusto?
«Certo che è giusto! Ma non credo che il debito abbia un valore maggiore rispetto a qualsiasi altra forma di promessa. Eppure solo le promesse “quantificate” assumono un peso morale. Tutto questo non ha senso…».
Ha una sua alternativa al capitalismo anglo-statunitense?
«Non è possibile sviluppare un piano di azione per sostituire il capitalismo, ma vorrei assistere alla costruzione di strutture realmente democratiche, in modo che le persone possano scegliere il sistema economico che desiderano».
Qualche anno fa ha detto di voler lanciare una rivoluzione in tutto il mondo. Pare che ci stia riuscendo…
«L’avevo detto un po’ per scherzo, ma credo che, quando il movimento Occupy Wall Street è esploso, ci fosse già una rivoluzione mondiale in corso. Certo, nel momento in cui ha raggiunto l’intero territorio statunitense l’impatto è stato enorme. Io ho svolto il ruolo di legame generazionale tra i militanti più adulti che contestavano la globalizzazione e gli attivisti più giovani. Sono stato l’anello di congiunzione tra le reti politiche europee e quelle Usa».
E le donne? Che ruolo hanno avuto?
«Le donne hanno sempre un’importanza enorme. Nei primi movimenti sociali si occupavano del lavoro vero, mentre gli uomini stavano sul palco, facevano i discorsi e partecipavano ai grandi conflitti. Con Occupy Wall Street abbiamo cercato di eliminare questa differenza ingiusta: chi lavora davvero partecipa anche alla leadership del movimento. E si tratta principalmente di donne».
Qualche esempio concreto?

«Partendo dalla mia esperienza personale, prima di Occupy Wall Street sono stato coinvolto nei movimenti contro i tagli in Gran Bretagna. Facevo parte di un gruppo, Arts against cuts , che mi è stato presentato da una scultrice, Sophie Carapetian. Quando sono tornato a New York, la persona che mi ha reintrodotto nel dibattito politico è stata una donna, la video-maker Marisa Holmes. E poi c’è un’altra attivista, la pittrice Colleen Asper: grazie a lei ho conosciuto Georgia Sagri, una performer anarchica greca. Con loro, a Manhattan, ho cominciato a costruire la prima assemblea generale di Occupy Wall Street. Alla fine mi sono reso conto che tutti i miei contatti più importanti erano giovani donne artiste».
Che cosa rende le donne più attive degli uomini?
«Sono più efficaci, migliori nella cooperazione e più attente ad ascoltare gli altri».
C’è una spiegazione?

«Da una parte lo impone il modello culturale classico, dall’altra le donne si trovano perennemente in una condizione marginale e per partecipare ai processi decisionali devono capire tutto e in anticipo, rispetto ai colleghi maschi. Chi invece ha il monopolio del potere può permettersi il lusso di non ascoltare o di vedere solo ciò che vuole vedere».
Le è mai successo di cambiare idea grazie a una donna?
«Continuamente».
Che cosa pensa la sua compagna dell’impegno politico?«Erika è più radicale di me. È un’attivista anarco-femminista, ha il compito di ricordarmi l’umiltà e che tutto ciò che faccio non è solo mio, ma appartiene alla collettività».
Si dice che dietro un grande uomo c’è sempre una grande donna.
«Spesso, più di una! (e ride, ndr )».

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