sabato 31 ottobre 2015

3.10. Secondo ritratto d’autore del rivoluzionario: il nomade rizomatico deleuziano - Parte XXX - Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski» (Rizosfera/OCFP, 2016)


Secondo ritratto d’autore del rivoluzionario: il nomade rizomatico deleuziano 

3.10. - Parte XXX - 

Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski» (Rizosfera/OCFP, 2016)


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Seguendo l’Anti-Edipo abbiamo una visione del rivoluzionario schizo-delirante del tutto canonica, tipica di una certa controcultura degli anni ‘60-’70: “un tipo schizo-rivoluzionario, che segue le linee di fuga del desiderio, attraversa il muro e fa passare i flussi, monta le sue macchine e i suoi gruppi in fusione nelle enclavi o alla periferia, procedendo al contrario del precedente [il paranoico-fascisteggiante] : non sono dei vostri, sono eternamente della razza inferiore, sono una bestia, un negro” (AE, 315). In realtà, altri passaggi attribuibili al solo Deleuze sono molto meno rassicuranti, anche per la controcultura del secondo Novecento: “I militanti rivoluzionari non possono non essere strettamente implicati dalla delinquenza, dalla deviazione e dalla follia, non come degli educatori o dei riformatori, ma come coloro che possono leggere soltanto in quegli specchi il volto della loro propria differenza” (ID, 254). Il sovversivo è dunque un simulacro prismatico che deve far propri i punti di vista anche del delinquente, del deviato e del folle, rilevando e problematizzando una doppia differenza: tra sé e la marginalità in cui si specchia, e tra i marginali fantasmati, di cui fa parte, e il resto del corpo sociale. E’ dall’elaborazione di queste differenze relative e assolute che la fisionomia del militante rivoluzionario acquisisce una propria singolarità deforme, in misura maggiore rispetto a una presunta vocazione antagonista che si auto-afferma in negativo rispetto alla «gente per bene» e che si costruisce come falsa contro-identità. Deleuze, però, ha una visione diversa sia dal piano trascendente guattariano, sia dalla controcultura dominante nel secondo Novecento: con Klossowski, egli pensa che Nietzsche “concepisca una nuova strategia e un altro modo di combattere” (CV, 68). Ma a differenza di Nietzsche, il rizomatico non è nichilista, crede nella rivoluzione come evento accelerato di trasvalutazione di valori; per questo se accetta il registro della parodia corrosiva, lo vira in positivo, cercando “nuove armi”. Questa nuova politica determina un nuovo modo di lottare che non «rima» nel modo più assoluto con lo storico del movimento socialista del XIX e XX secolo. Per valutare le differenze tra le due proposte, vediamo di approfondire la nozione di complotto così come è rielaborata da Deleuze sull’asse Klossowski-Nietzsche. “C’è un tema - afferma Deleuze - che Klossowski ha sviluppato, mi sembra, contemporaneamente a quello della perdita d’identità: è il tema della singolarità, poiché le singolarità sono alla lettera delle non-identità. Stando a quanto afferma Klossowski, un complotto è una comunità di singolarità. Il problema diventa politico (in un senso nuovo o vecchio del termine, ha poca importanza) con la seguente domanda: come concepire una comunità di singolarità?” (CV, 73). Abbiamo qui, per la prima volta nella storia, l’individuazione di un nuovo modo di essere rivoluzionari, e un’ambiziosa proto-architettura della Connessione tra Ritmi di monadi eretiche, o frequenze intensive a-quantitative: una strategia, dei modi, delle non-identità, del tutto difformi a quanto sino ad ora espresso dalla Modernità, un rovesciamento della stessa natura dell’organizzazione sociale e, dunque, del concetto stesso di rivoluzione, a favore di un’euristica insurrezionale. Un tipo di rivoluzione che non riconosce come modelli utilizzabili le rivoluzioni precedenti, di cui interrompe la serie, e che non ha come scopo ultimo la conquista del potere. E, infine, un tipo di rivoluzione che è più vicina a un’«arte di vivere impersonale» piuttosto che a un’«arte della politica pura», come ha finemente scritto Foucault (Introduzione all’Anti-Edipo, 1977). “La cosiddetta società è una comunità di regolarità”, continua Deleuze a Cerisy-la-Salle o, a rigore, un certo processo selettivo che accoglie delle singolarità adeguatamente scelte e le regolarizza. Generalmente essa sceglie, per esprimersi in termini psichiatrici, delle singolarità paranoiche, poiché ciò si addice al funzionamento di una società. Ma un complotto è una comunità di singolarità di tipo differente, che non si lasciano regolarizzare, che partecipano a nuove connessioni, e che sono in questo senso rivoluzionarie” (CV, 73). Siamo qui nel vero e proprio cuore sia del frammento I forti dell’avvenire di Nietzsche sia del Pensiero nomade di Deleuze. E se il senso della frase di Deleuze “Ecco forse la massima profondità di Nietzsche (...) aver trasformato il pensiero in una macchina da guerra” (ID-PN, 329), acquista una sua pregnanza solo alla luce del frammenti accelerazionisti del 1887, la filosofia anedipica è la continuazione della stessa macchina da guerra con altri mezzi, adeguati alla propria epoca. Così, con gli occhiali dell’Anti-Edipo, il grande processo di regolarizzazione è il grande processo dell’oikonomia occidentale in quanto permette il funzionamento razionale di una comunità numericamente elevata di individualità assoggettate al mercato mondiale, unica modalità possibile, storicamente realizzata, che abbia permesso alla “specie umana di mantenersi a livello dell’uomo (...) mediante la produzione e (...) attraverso l’assurdità di un lavoro che riduce totalmente le sue risorse morali” (CV, 62). Ciò che risulta indecidibile e dunque non economizzabile è il legame che si può fondare tra singolarità irregolari: non già «istituzioni» ma bensì «connessioni». Il criterio selettivo dell’Eterno Ritorno - se la prospettiva impiegata è la biforcazione estrema di produzioni discrete di non-identità da macro-ripetizioni di identità omogenee - è plausibile solo in funzione di una doppia selezione di tipologie umane: l’essenziale come valore-massa, cioè una ratio funzionale alla forma assunta dalla società mercantile, e il surplus come valore-scarto, eccedenza, un plusvalore-singolarizzato, impersonale, disindividualizzato e perciò favorevole alla «formazione di società, di gruppi» (CV, 74). Per il filosofo parigino gli «uomini del surplus» “non si spostano e si mettono a vivere da nomadi per restare allo stesso posto sfuggendo ai codici” (ID-PN, 329). Il nomade, per Deleuze, é un centro mobile di forza, un incantato viandante con orizzonti inauditi, un viaggiatore immobile sui corpi collettivi. Rimane però un grande enigma. Sia i gregari che gli inassimilabili vivono e lottano all’interno di un macro-scenario di una iniquità deprimente e assurda. Come sciogliere questo nodo per i nuovi sediziosi? Come tessere la rete di punti d’individuazione o di nodi leggeri auto-organizzati all’interno della megastruttura sociale unificante, e come determinare che tale rete sia capace di reggere nel tempo le connessioni tra diversità?

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