domenica 3 febbraio 2013

Benedetto Vecchi: Un rabdomante che resisteva al presente @ Il Manifesto, 31 gennaio 2013



Benedetto Vecchi: Un rabdomante che resisteva al presente 
@ Il Manifesto, 31 gennaio 2013

Una delle ultime immagini di Antonio Caronia lo ritrae mentre manifesta assieme agli studenti della Pinacoteca di Brera contro i progetti di riforma delle Università. Sono passati alcuni anni. La crisi impazzava e le università, ma anche le scuole superiori erano in rivolta contro l’ennesimo «taglio lineare» alla formazione.
Antonio era convinto, come tanti, che la crisi dovevano pagarla coloro che l’avevano provocata. Poi, aveva continuato a pensare, scrivere come sempre aveva fatto. In sintonia con i movimenti, con una propensione a scartare dalla mera contingenza, a cercare di provocare quel fertile cortocircuito tra pratica politica e pratica teorica, una costante nella sua vita di studioso, giornalista, docente. Di militante, come quando scelse di partecipare alle occupazioni di Macao a Milano compiute da lavoratori dello spettacolo, artisti, precari cognitivi. Anche in questa occasione, la sua figura esile, il suo parlare veloce avevano la capacità di andare oltre la contingenza.
La prima discussione con Antonio è stata sul cyberpunk. Lui veniva dagli anni Settanta, aveva attraversato il deserto del decennio successivo come un rabdomante, cercando segnali, esperienze di resistenza alla controrivoluzione neoliberale. Viveva a Milano e in gioventù aveva frequentato quella sinistra radicale in odore di eresia rispetto alla tradizione egemone nel movimento operaio. Si era abbeverato ai «Quaderni rossi», a Montaldi, ma aveva poi divorato i «francesi», in particolar modo Deleuze e Guattari, filosofi preferiti a Michel Foucault.
Quando ci siamo incontrati, il cyberpunk sembrava l’attitudine culturale e lo stile di vita adeguato al tempo presente. Nessuna nostalgia per il passato, ma lo sguardo fermo sull’attualità, con le sue contraddizioni e i suoi conflitti. Era però disincantato, Antonio, invitava a non cercare nuovi e palingenetici «soggetti rivoluzionari» in quelle donne e uomini che individuavano nel cyborg l’esito della trasformazione tecnologica e nella messa al lavoro della scienza e della conoscenza. Il cyborg, proprio perché innesto della macchina nel corpo umano, era per Antonio figura ambivalente. Su questo scrisse saggi, libri, articoli, sempre illuminanti riguardo al lato oscuro della «rivoluzione informatica». La sua voce impastata e la scrittura rapsodica sono stati un antidoto alle miserie del presente e una spinta a farsi catturare dalle ricchezze del possibile.


Blogpic: Giorgia Righini
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