I cattolici, la sinistra e la sfida nazionale
Ha ragione Claudio Sardo a mettere in evidenza la doppia reciproca sfida che dai cattolici viene alla sinistra e che dalla sinistra investe i cattolici. Questi non sono più, come un tempo, due mondi internamente compatti.
Il movimento operaio da una parte, il cattolicesimo politico dall’altra. Oggi sono due mondi articolati, ognuno a suo modo plurale, ognuno ormai complexio oppositorum. Tema strategico, il loro rapporto, non per la cattura del consenso, ma per il governo del Paese e per la ricostruzione, sempre più urgente, di un ethos pubblico.
In gioco, un’immagine di società, il discorso sulle forme di vita, un’idea della pianta uomo e di convivenza umana, nell’irrompere salutare della differenza, come bandiere della modernità, che un post-moderno sregolato e selvaggio ha lasciato cadere nella polvere e che vanno raccolte, insieme, da credenti liberi e da non credenti responsabili. Un’operazione di intenso spessore neo-umanistico, in risposta all’ultimo disagio di civiltà che la crisi economico-finanziaria e politico-sociale ha definitivamente messo a nudo.
Un passaggio elettorale non può disperdere la necessità di questo confronto. Anzi, è l’occasione per rilanciarlo, nei modi opportuni. Forse mettendo per un momento da parte i principi irrinunciabili e piuttosto disponendosi in ascolto delle domande più urgenti che vengono dal basso della società. È indubbio che a questo ascolto, siano più di tutti gli altri disponibili i cattolici e la sinistra. E allora da qui conviene partire. Con un atteggiamento di sobria confidenza con le persone che lavorano, che faticano, che soffrono, e non per loro colpa biblica, ma per il sistema ingiusto che li opprime. Sobria confidenza e cioè solidarietà alla pari, comune destino, e non demagogia populista da fuori e dall’alto, che fino a ieri veniva solo da Arcore, ora la vediamo venire anche dalla Bocconi. Miracoli della campagna elettorale: almeno qui da noi, finché non si metterà la parola fine a questa eterna favola del lupo e dell’agnello. I tanti voti, come i tanti spiccioli, ce li hanno i poveri: messi insieme, servono ai ricchi per tenere al sicuro i loro patrimoni.
Forse bisogna metterla così, per rompere l’incantesimo di un mondo rovesciato. E per dire che dal governo guarderemo il mondo dall’altro lato. Per punire nessuno. Per garantire a ciascuna parte la sua legittima funzione, anche alla ricchezza, che deve servire però al bene comune e non al privilegio dei pochi. Per assicurare a chi dalla vita ha potuto avere troppo poco, o addirittura niente, quel valore non negoziabile che è la dignità umana. Perché senza dignità non c’è libertà, quella libertà che sta sempre sulla bocca dei potenti. Senza dignità, c’è la tentazione, e di più, c’è l’obbligazione della servitù. C’è il rifugio illusorio del salvarsi da solo, partecipando a mani nude alla lotta brutale per l’esistenza, in una competizione impari con chi ha a disposizione le armi del privilegio di nascita e di risorse. C’è una comune disposizione d’animo, di anima politica, che unisce e raccorda oggi cattolici e sinistra, l’estraneità dell’individualismo dal proprio orizzonte generalmente umano, che è poi quello specificamente politico. Si evidenzia qui il bisogno di una nuova unità, emergenziale, tra questione antropologica e questione sociale. Non è solo un problema di particolare momento, si tratta tra l’altro di riuscire a sollevare il discorso pubblico ad altezze incompatibili rispetto alla palude volgare, indecente, in cui l’ha precipitato il racconto berlusconiano, leghista, grillino e quant’altro lo insegue, per imitazione, su questo terreno.
Bisogna avere fiducia nella capacità di riconoscimento tra le varie offerte politiche da parte delle persone, prese singolarmente. Anche se va mantenuta una punta di scetticismo sui movimenti di opinione collettiva, ora gravemente inquinati dalla magia della comunicazione di massa. Penso che alla fine il modo più efficace per ottenere il necessario consenso sia sempre quello di presentarsi per quello che si è. Questo sono. E per questo chiedo di essere scelto. Penso che in una campagna elettorale una forza politica debba comportarsi come il maestro con gli allievi, come il padre con i figli. Non con una vocazione pedagogica, non per insegnare come si deve essere, che cosa si deve fare, in che modo si deve vivere. Ma semplicemente dicendo, anzi mostrando: io sono così, io faccio questo, io vivo in questo modo. Una esemplarità, dove ognuno, specchiandosi, ritrova, può ritrovare, e appunto riconoscere, il meglio di sé.
E allora, però, è indispensabile avere dietro un percorso di esperienze inattaccabili, è necessario poter presentare non solo un bagaglio di idee alternative, ma una generazione di uomini e di donne in grado di portarle nel quotidiano della loro esistenza. Questa è la nobiltà di essere partito. Si è persa. Va recuperata. Non siamo fuori tempo massimo. Siamo in un tempo difficile per la serietà delle intenzioni. Con le unghie e con i denti, uscirne fuori, ecco un compito per cui vale la pena di battersi.
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