mercoledì 29 giugno 2016

Michael Hardt : Sulla democrazia radicale di Deleuze (testo finale di «Deleuze, Un apprendistato in filosofia», Michael Hardt, Derive e Approdi, 2016)


Michael Hardt
Gilles deleuze, un apprendistato in filosofia
Derive e approdi, 2016

Si ringrazia l'editore per la concessione a pubblicare.

Molti autori americani hanno cercato di definire il problema delle conseguenze politiche del post-strutturalismo. Le loro ricerche hanno avuto esiti molto diversi, collocandosi all’interno di un ampio spettro politico. A dire il vero, non ci si dovrebbe aspettare di trovare una risposta chiara a un problema simile, che investe un ampio ambito teoretico. Ad esempio, negli ultimi centocinquant’anni, la filosofia di Hegel è stata il punto di partenza di una grande varietà di posizioni politiche, tanto reazionarie che progressiste, molte delle quali in aperto dissenso con la visione politica personale di Hegel. È ovvio che non è possibile ricavare la posizione politica, come se fosse una conseguenza necessaria di un corpus teoretico. Passando dalla teoria all’azione le vie perseguibili sono infatti molte. Per questo non serve a granché tentare una definizione anche generica della politica post-strutturalista o della politica della filosofia deleuziana. È più appropriato e produttivo chiederci: cosa può offrirci il pensiero di Deleuze? Cosa possiamo farci? Ovvero, quali sono gli strumenti utili che la sua filosofia ci mette a disposizione per perseguire i nostri progetti politici? È con questo spirito che ho cercato di portare alla luce alcuni degli strumenti forniti da Deleuze per la costituzione di una democrazia radicale. Le distinzioni che ho cercato di sottolineare contrappongono la molteplicità di organizzazione alla molteplicità di ordine, i concatenamenti della potenza (les agencements de la puissance) ai dispositivi del potere (les dispositifs du pouvoir). Ognuna di queste distinzioni dipende da un concetto di costituzione che rimane latente, ma che è fondamentale nel pensiero di Deleuze. Da questa prospettiva, può aiutarci a sviluppare una concezione dinamica della società democratica come aperta, orizzontale e collettiva.
Una visione della democrazia che per certi versi coincide con quella del liberalismo. Forse il principio più importante di una teoria liberale democratica è che i fini della società siano indeterminati, e quindi che il movimento della società sia aperto alla volontà dei membri che la costituiscono. La priorità del diritto sul bene è ribadita per garantire che il libero sviluppo della società non sia impedito o costretto da un telos determinato dall’esterno. Questo rifiuto politico della teleologia ci porta direttamente a un rifiuto filosofico dell’ontologia, perché l’ontologia stessa si presume porti con sé una determinazione trascendentale del bene. Allora, la deontologia sarà l’unica posizione filosofica in grado sostenere una società democratica aperta a una molteplicità di fini. I pensatori “liberal” che ragionano in questo modo hanno di fatto accettato troppo presto le affermazioni platoniche ed hegeliane sul nesso tra ontologia e teleologia sociale; sono ancora troppo legati alla logica delle contraddizioni, e quindi perdono importanti sfumature. In altre parole, a una visione ontologica all’origine una società chiusa e conservatrice, credono sia necessario opporre una teoria deontologica che consenta una società aperta e democratica. Ma non c’è bisogno di cadere nell’errore opposto, non c’è bisogno di rifiutare l’ontologia in quanto tale per affermare l’apertura dei fini nella società. La tradizione della metafisica occidentale non è un pezzo unico o un monoblocco, ma contiene al suo interno molte alternative radicali. (Il fatto che la tradizione appaia ad alcuni così scarsa di alternative è solo una prova della debolezza dell’indagine filosofica contemporanea). Quando Deleuze interroga Bergson, Nietzsche e Spinoza sta riaffermando e articolando una tradizione alternativa nella storia della metafisica occidentale, capace di presentare un’ontologia ma senza proporre alcuna carta teleologica, né alcuna determinazione dei fini. Ciò che Deleuze sviluppa coincide con la prospettiva “liberal” quando afferma l’indeterminatezza dei fini nella società democratica, che non per questo si configura come un rifiuto del discorso ontologico. L’essere di Deleuze è aperto all’intervento di creazioni politiche e cambiamenti sociali: questa apertura è proprio la “producibilità” dell’essere che ha ricavato dal pensiero scolastico. La potenza della società, per dirla in termini spinoziani, corrisponde alla sua potenza di essere affetta. La priorità del diritto o del bene non c’entra niente con la concezione di questa apertura. Ciò che è aperto, e ciò che connette ontologia e politica, è l’espressione della potenza: il libero conflitto e la libera composizione del campo delle forze sociali.
Questa organizzazione aperta della società deve essere distinta dalle strutture verticali dell’ordine. Per organizzazione qui non intendo un piano o un programma volto a ordinare le relazioni sociali, bensì un processo continuo di composizione e decomposizione attraverso gli incontri sociali su un campo di forze immanente. Lo skyline della società è perfettamente piatto, perfettamente orizzontale, nel senso che l’organizzazione sociale procede senza alcun disegno predeterminato, sulla base dell’interazione delle forze immanenti e può quindi, in linea di principio, essere ricondotta in qualsiasi momento al suo grado zero di uguaglianza, come schiacciata dall’instancabile pressione della forza di gravità. L’organizzazione porta con sé la potenza distruttiva del ritorno ai principi di Machiavelli. Il che non significa che non esistano le istituzioni (o altri esempi di verticalità), ma che esse ricevono una determinazione assolutamente immanente, e quindi rimangono sempre e completamente suscettibili di ristrutturazioni, riforme e distruzioni (nello spirito, ad esempio, della Comune, dove la rappresentanza era sempre soggetta a revoca immediata). I dispositivi, o dispiegamenti, strutturano l’ordine sociale dall’alto, da uno spazio di trascendenza esterna; gli agencements, assemblaggi o concatenamenti, costituiscono il meccanismo dell’organizzazione sociale dal basso, dal piano sociale immanente. L’orizzontalità della costituzione materiale della società si fonda sulla pratica come motore della creazione sociale. Una pratica politica di corpi sociali che libera le forze immanenti dalle strettoie di forme predeterminate per scoprire fini propri, inventare una propria costituzione. Ancora una volta, troviamo che la produttività dell’essere sociale corrisponde alla sua producibilità. La società orizzontale è il luogo aperto che favorisce la creazione pratica e la composizione, così come la distruzione e la decomposizione. Il modello di questa costituzione è l’assemblea generale, l’assoluta e uguale inclusione di tutto il piano immanente: la democrazia, come Spinoza insiste nel dire, è la forma assoluta di governo.
I processi di assemblaggio sociale, di costituzione sociale, sono indifferenti ai limiti posti dall’individualismo; o, più precisamente, i confini dei corpi sociali sono continuamente soggetti a cambiamento, così come la pratica dell’assemblaggio decompone certe relazioni e ne compone altre. Non c’è contraddizione, allora, tra individuale e collettivo: la costituzione della società si basa su una diversa assiologia. Il processo di concatenamento politico, la composizione di rapporti sociali gioiosi, si muove invece tra molteplicità e moltitudine. La pratica deleuziana dell’affermazione e della gioia, in altre parole, è diretta alla creazione di corpi sociali o piani di composizione sempre più potenti, che rimangono però aperti ad antagonismi interni, alle forze reali della distruzione e della decomposizione. L’assemblaggio politico è certamente un’arte, in quanto va continuamente rifatto, reinventato. La moltitudine è assemblata attraverso questa pratica come un corpo sociale definito da un insieme di comportamenti, bisogni e desideri comuni. È questa la prospettiva dalla quale Deleuze valorizza le forze vive della società che emergono dalle forze morte dell’ordine sociale, proprio come il lavoro vivo marxiano rifiuta di farsi succhiare il sangue dai vampiri del capitale che si alzano in volo. E questa qualità della vita è definita sia dalla potenza di agire che dalla potenza di essere affetti: un corpo sociale senza organi. La composizione o la costituzione della moltitudine non nega in ogni caso la molteplicità delle forze sociali, ma al contrario innalza la molteplicità ai più alti livelli di potenza.
È solo un accenno di politica democratica: restano da delineare i suoi meccanismi costitutivi con pratiche sociali concrete. Quello che Deleuze ci offre, in realtà, è un modo per orientarsi nella futura ricerca di forme concrete di architetture sociali. Sul piano politico, saranno la molteplicità delle pratiche sociali e dei desideri a dirci a quali condizioni composizioni o architetture sociali potranno realizzarsi. È questo il campo su cui il processo deve esplicarsi: l’assemblaggio avverrà a partire da corpi sociali con rapporti interni compatibili, con pratiche e desideri componibili. Nelle pratiche sociali esistenti, nelle espressioni affettive della cultura popolare, nelle reti di cooperazione lavorativa, dovremmo cercare di distinguere i meccanismi materiali di aggregazione sociale che possono costituire rapporti adeguati, affermativi e gioiosi: dunque concatenamenti potenti di soggettività. Completare il passaggio dalla molteplicità alla moltitudine resta per noi il compito fondamentale per una pratica politica democratica.

domenica 19 giugno 2016

4.13 Against the Black Death: good health and new hope - Part XXXIV - Excerpt from the essay «Acceleration, Revolution and Money in Deleuze and Guattari's Anti-Oedipus», Obsolete Capitalism Free Press/Rizosphere, 2016


Against the Black Death: good health and new hope

All we have written is the result of a research project that involved three main cores, heterogeneous but still tied and unified by a subversive thinking. The first core is represented by the posthumous fragments on the will to power, where the heart of this research lies, The Strong of the Future, that is, the Nietzsche that wrote in 1887-1888; the second core can be identified in the essay on conspiracy and the community of singularities generated by the Eternal Return, that is, the Klossowski of Nietzsche and the Vicious Circle (1969); the third core is constituted by the present accelerationist passage in The Civilised Capitalist Machine where the nomad pluralities appear, that is, the Anti-Œdipus of Deleuze and Guattari (1972). Three cores for three books of the Adversary – a lawless, anarchic and antichrist Adversary – whose task is “is not to be found in the neurotic or perverse re-territorializations that arrest the process or assign it goals; it is no more behind than ahead, it coincides with the completion of the process of desiring-production, this process that is always and already complete as it proceeds, and as long as it proceeds” (AE, 382). If, for what concerns industrial capital or digital post-capitalism, “we really haven’t seen anything yet” because with its de-territorializations “it may dispatch us straight to the moon” (AE, 34) and conquer new planets or galaxies with its Black Deaths, according to Deleuze and Guattari the non-identitary nomad “will never go too far with the deterritorialization, the decoding of flows” (AE, 382). Zarathustra, in one of its most visionary speeches, The Bestowing Virtue, prophesizes: “Truly, a place of healing shall the earth become! And already is a new odor diffused around it, a salvation-bringing odor - and a new hope!” (Z, 65). thus, the masterpiece written by Deleuze and Guattari – which, as we have demonstrated, is not only an authorial work but a rhizomatic gem – finishes with a morning song to accelerate the momentum of the Eternal Return: “For the new earth is not to be found in the neurotic or perverse re-territorializations that arrest the process or assign it goals; it is no more behind than ahead, it coincides with the completion of the process of desiring-production, this process that is always and already complete as it proceeds, and as long as it proceeds” (AE, 382). The appearance of those who walk through the revolutionary avenue changes, being them the strong of the future, or the non-homogeneous singularities, or the nomad pluralities, but the imperative of the microcomunism of the unequal remains the same: Accelerate and Destroy. The inhuman Kingdom is already among us.


December 2015

(The End)

domenica 12 giugno 2016

4.12. Towards a new land: to dismantle and to reconstruct the mechanism - Part XXXIII - Excerpt from the essay «Acceleration, Revolution and Money in Deleuze and Guattari's Anti-Oedipus», Obsolete Capitalism Free Press/Rizosphere, 2016


Towards a new land: to dismantle and to reconstruct the mechanism


It follows that the greatest mistake for a revolutionary is to think that revolution will coincide with himself, with his own name in History. Indeed, those who make revolution fail are individuals that attribute ends to it, that perform sudden stops or that allow it to continue in a vacuum – “betrayals don’t wait their turn, but are there from the very start” (AE, 379). Conversely, the lucid revolutionaries, who notice the presence of groups which overtake the goals chosen by their closed set, with that level of awareness have either to prevent the formation of negative sovereignties – by creating a sort of new revolutionary anthropology – subtracting from developing sovereign nuclei the stability and the point of equilibrium through the creation of insurgent obliquely un-centred communities. This is the sense of the “overturned sovereignty” claimed by Deleuze and Guattari. Drift/bifurcation or subtraction/imbalance, these are the two “insurrectional” tasks that have to be prepared for revolution, rather than opposing and resisting to the point of equilibrium of sedition, that is, a blind idea of return. Alternatively, if we conceive the “seditious” as an individual that stands outside his ego, we have to regard him as a hollow object, whose purpose is to connect himself to “revolutionary” processes pre-existent to his effort and his thought. As for other coeval behaviours, this connection could function as a positive, accelerating and non-inhibiting catalysation. The reaction and the subsequent fusion, though, do not induce the individual to remain unaltered in his stability, but instead the accelerating catalytic process radically transforms it. The accelerating factor of the catalytic reaction, then, affects both fields: the collective revolutionary process and the individual de-subjecting process – in this regard, Foucault remarks that “one has to dispense with the constituent subject, to get rid of the subject itself” (PK, 117). If desire lives because it does not have an aim, returning to Deleuze and Guattari, it generates effects of acceleration of the revolutionary process in a materialistic sense and not in an ideological one, where ‘ideology’ means the political process driven by party officials who are revolution professionals. There cannot be “creation” if we repeat the same ideological rituals of previous revolutions, of which we still preserve the idle forms lacking any propulsive dynamism. We ought to prevent the serialization of insurrection and its “mono and macro” form. Indeed, as Klossowski writes, “if the meaning of all eminent creation is to break the gregarious habits that always direct existing beings toward ends that are useful exclusively to the oppressive regime of mediocrity - then in the experimental domain to create is to do violence to what exists, and thus to the integrity of beings. Every creation of a new type must provoke a state of insecurity: creation ceases to be a game at the margins of reality; henceforth, the creator will not re-produce, but will itself produce the real” (NVC, 129). Deleuze and Guattari hold a similar stance – “we are claiming the famous rights to laziness, to non-productivity, to dream and fantasy production, once again we are quite pleased, since we haven't stopped saying the opposite, and that desiring-production produces the real” (AE, 380). Every production of reality is in fact a crack, a breach into the social body, but such fracture happens only “by means of a desire without aim or cause that charted it and sided with it. While the schiz is possible without the order of causes, it becomes real only by means of something of another order: Desire, the desert-desire, the revolutionary investment of desire. And that is indeed what undermines capitalism: where will the revolution come from, and in what form within the exploited masses? It is like death—where, when? It will be a decoded flow, a de-territorialized flow that runs too far and cuts too sharply, thereby escaping from the axiomatic of capitalism” (AE, 378). Not only this production of Reality in the desert of the sub-reality of monetary circuiting undermines capitalism, but it also nullifies, as a primary target, the theory of state or any theory of institutions deriving from revolutionary struggles, because schizo-analysis – as the thought of Nietzsche, Klossowski and Foucault – does not rigorously offer “any political programme”, not for a group, nor for a party, nor for masses, because this would be all unfair and irrational. (AE 437) The authors of the Anti-Œdipus, as well as the sappers of the Rhizosphere are all aware of the negative, violent and brutal task of schizo-analysis – as they are aware of the genealogy, of the archive, of the philosophy of the future and of the Vicious Circle: “de-familiarizing, de-œdipalizing, de-castrating; undoing theater, dream, and fantasy; decoding, de-territorializing – a terrible curettage, a malevolent activity” (AE, 381). All this Destroy, Destroy primarily and essentially indicates to free from any obstacle the “process”, to accelerate the process, to accelerate and to destroy, since the process to be accelerated is, as we have mentioned, “the process of desiring-production, following its molecular lines of escape” (AE, 381). And we can overlook if someone more or less recently has confused the “molecular escape” with the “molar production”, or if he has interpreted going “even further away in market movements” as following in a conformist way the commercial strategy of disarticulation of existing entities since the process is unique in nature, or if someone has believed that we ought to accelerate the rush of turbo-capitalism so that it would crash at the first bifurcation, or – even worse – if someone exchanged the desire for goods consumption and for self-repression, with the impulsive desire of production of Reality, aimed at modifying what exists and at liberating the differences. Let us say it here, once and for all: the capitalist process of decoding produces infinite abstract quantities – money and its pair of repetitive and spectral syntheses, credit and debit, driven and controlled by the systemic Axiomatics of immanence; the schizophrenic process of decoding produces, instead, particles of power that are non-evident, radiating and immeasurable – desire, manipulated by impulses, that is, by desiring-machines. These are nothing but differences in regime, not in nature: indeed the two aspects of the process have contact but do not confuse one with the other. The schizo-nomad remains always at the boundary of capitalism: it represents its inherent tendency brought to fulfillment as well as its exterminating angel (AE, 35). However, desiring production – impulsive or concealed – and social production – monetarised and abstract – are the two differences that have been the object of study of the materialist psychiatry of Deleuze and Guattari. They represent the “way of life” or the “Reality” that we desire: Feasible Reality vs. Artificial Reality.

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domenica 5 giugno 2016

4.11. How to escape from axiomatics and to make the modern immanent machine break down? - Part XXXII - Excerpt from the essay «Acceleration, Revolution and Money in Deleuze and Guattari's Anti-Oedipus», Obsolete Capitalism Free Press/Rizosphere, 2016


How to escape from axiomatics and to make the modern immanent machine break down?

Part XXXII - Excerpt from the essay «Acceleration, Revolution and Money in Deleuze and Guattari's Anti-Oedipus», Obsolete Capitalism Free Press/Rizosphere, 2016

Here we finally return to the plot of money and revolution, under the sign of the Œdipic contrast. If, in our modern empirical experience, our societies are pervaded with economic optimism – descending from the eighteenth-century positivism thoroughly analysed by Marx at the socio-productive level and by Nietzsche at the impulsive-energetic level – and with cybernetic processual evolution of monetary and credit circuits farsightedly described by Deleuze and Guattari, what strategies could be adopted to escape from commercial axiomatics and to make the modern immanent machine break down? Which relation exists between money and revolution? Shall we switch to a detailed and bureaucratic plan descending from a totalising “keys-in-hand” theory that explains and foresees everything, according to fixed relations between the forms of the Earth and of human set theory, or shall we adopt a plan of impulsive consistency corresponding to the always productive swinging energy of desire, of the real and of imbalance? Between organisation-administration and chaos-creation, what levels of synthesis and innovation should we choose in order to “search and destroy” and to then rebuild? Shall we build revolutionary subjects and identities within class or economic determinations, or shall we de-construct forms, to discover the “hollowness” of subjects and to increase the speed of activation of the revolutionary “process” of the irregular idle, of the non-exchangeable group and of the community of singularity? Nonetheless, from a different perspective, as Ewald seemed to argue, if the seventies history has handed over to us a “fact” in all its tragic evidence, that is the disappearance of the social revolutionary horizon, that is, the sinking of the concept of insurrection as magnet for political action from the Enlightenment onwards. Are we assisting to the Death of Revolution as palingenetic event and qualified creative rupture, mother of modern politics – as Foucault seems to foresee after 1978 and after the Rhizosphere period, or are we facing the perpetual revolutionary becoming as human condition at the times of post-revolution and post-capitalist control-based neo-societies – as Deleuze and Guattari argued in the multi-stratum desert of A Thousand Plateaus? Something has changed after 1978, revolutionaries become spectres like beautiful losers, as if the sedition and the overturning of desire on the carpet of Reality were symmetrical to the decline of industry and to the erosion of the historically fixed capital. The productive practices of industry and the concept of cathartic revolution decay together with the West, in a miserable and stagnant dusk. To us, authors of this volume, the intersection between “money and revolution” suggested by Klossowski and Deleuze, and by the whole anti-œdipic rhizosphere, seems still profoundly relevant, no longer in the westerly vulgate but instead on a global scale, the only possible one today. In the wildest present circumstances, the reproduction of money and liquidity has not stopped, neither have the attempts to become revolutionaries and pathologically seditious, in every single planetary background. Daily events speak for themselves. As Foucault consciously wrote, the triangle of “desire, value and simulacrum” still dominates us, and we seem unable to grasp it nor to understand it in its horrific geometrical effectiveness. How to escape from axiomatics and to make the modern immanent machine break down: the question of the Anti-Œdipus is still relevant in the present, as it has been in the past. Part of the answer, within the context of the evolution of the relation between technology and liberation, can certainly be generated and developed by the conflation of three specific fields of our age: cyberpunk, blockchain/DAO technology, and the heterarchical movement P2P. The new alliance between peer to peer – a digital evolution of anarchic and self-organised reticular logics of autonomist philosophy of existentialist punk dis-intermediation – and DIY – the do-it-yourself already post-capitalist in its very own nature. The fourth pillar, which has to escort the three fields indicated above, could be the philosophy of the rhizosphere, or of the future. The “philosophy of the future”, in order to return joyful and dangerous, must abandon the collusive position that has occupied in the industry of knowledge and of wisdom, and return to being an informal peripatetic wayfarer – a gypsy scholarship. With great awareness it must experiment, fail, create: study, deconstruct and reconstruct, even itself. The gypsy scholarship, though, conceived as pedagogy of freedom and insurrection, cannot become science, absorbed by institutions: it is like a gust of The Fixer, or the glow of a moment lasting for a century.

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