mercoledì 30 settembre 2015

Ritorno al 1972. Il paradosso del capitalista: essere gregario pur dominando - Parte VII - Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski e la politica accelerazionista di Nietzsche» di Obsolete Capitalism



Ritorno al 1972. Il paradosso del capitalista: essere gregario pur dominando


C.2.7. - Parte VII -

Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski e la politica accelerazionista di Nietzsche» 
di Obsolete Capitalism

Indaghiamo ora la figura del capitalista e del suo desiderio che pulsa in quanto «fraudolento potente»,  il falso padrone della presunta gerarchia. Per Deleuze, il capitalista e il salariato, pur antitetici nello spazio conflittuale della fabbrica, del mondo del lavoro e della società intera, sono accomunati dalla «monetarizzazione del Tutto» che avanza e stritola il campo sociale. Con la differenza, «minima» se valutata dal punto di vista della «dipendenza», che il salariato ha un’impotenza assoluta rispetto alla «potenza del flusso monetario», mentre il capitalista ha un’impotenza relativa (AE, 271). Ambedue incatenati, pur nelle discordanti volumetrie dei profitti, a quell’«abisso insondabile» dove si generano in modi del tutto «scatenati e selvaggi» sia i flussi d’estrazione di valore, sia le laminazioni reddituali del monte-salari. Capitalisti e salariati, simul stabunt vel simul cadent, in un simbiotico rapporto che coinvolge, a differenti livelli, sia il capitalismo che il socialismo. Per Klossowski, come già abbiamo visto in precedenza, il «capitalista» nelle sue diverse maschere e mansioni di industriale, militare, banchiere, commerciante e funzionario, è «di fatto soltanto uno schiavo che lavora senza saperlo per i padroni occulti» (NCV [ II ], 217). Nietzsche ritiene i capitalisti, all’opposto degli sperimentatori dell’avvenire, come degli «arricchiti» incapaci di rivolta (NCV [ II ], 218). Non solo, ma in qualità di «gerarchia padrona» è ancor più responsabile dell’intollerabile governo senza scopo della «macchina totale» e del generale appiattimento sociale:


Sulla prima via [ della gestione planetaria ], che si può ora abbracciare perfettamente con lo sguardo, sorge l’adattamento, la superiore cineseria, la modestia degli istinti, la contentezza per il rimpicciolimento dell’uomo - una specie di arresto del livello dell’uomo. Appena avremo raggiunto l’inevitabile amministrazione economica generale della terra, l’umanità come macchina potrà trovare in quel servizio il suo miglior senso: come un enorme ingranaggio di ruote sempre più piccole, sempre più finemente “adattate”: (...) Per parlare in termini morali, quella macchina totale, la solidarietà di tutte le ruote, rappresenta un massimo nello sfruttamento dell’uomo (...)”.
(NCV [ II ], 218-19)


Da questo punto di vista nietzscheano, alla domanda "Chi è il responsabile di tutto ciò?" - che nella versione «processuale» e fluidificante di Deleuze e Guattari nell’Anti-Edipo  suona Come un tal campo sociale ha potuto essere investito dal desiderio? - è facile individuare nei potenti di oggi la guida gerarchizzata verso quel rimpicciolimento dell’uomo e quella minuziosa riduzione a ingranaggio «solidale a tutte le ruote» che ci indirizza all’«amministrazione economica generale della terra», o per parlare come Deleuze e Guattari, al capitalismo dei flussi che «riproduce i suoi limiti immanenti su scala sempre allargata, sempre più inglobante» (AE, 271). Klossowski, sempre a commento del frammento postumo 10 [17] dell’autunno 1887:

Si potrebbe pensare che tale vaticinio [ cioè la predizione degli eventi futuri narrata nel frammento I forti dell’avvenire ] si è confermato più di una volta da allora «al di là di ogni speranza» ma anche qui sono stati i falsi padroni - schiavi inconsapevoli - che, agendo senza saperlo per la gerarchia occulta, l’hanno dispensata da quanto di volgare comporta sempre la sperimentazione: giacché essi perseguono uno scopo e si danno un senso che può far solo ridere gli occulti.” ( NCV [ II ], 218 )


In questo commento Klossowski riprende con grande acume lo humour sulfureo di Nietzsche: i capitalisti, cioè i falsi padroni nonché schiavi inconsapevoli, sono stati talmente zelanti nel loro lavoro ripetuto di massificazione e omogeneizzazione dell’uomo europeo da ottenere un tale capolavoro di livellamento, da esentare i forti dell’avvenire dall’intervenire anche solo per «accelerare» tale processo, che dunque procede alquanto spedito. Ma i capitalisti, poveri travet della coercizione, non si accorgeranno mai di lavorare in modo forsennato per nulla, perché lo scopo ultimo del livellamento non è certo il conseguimento della ricchezza della superclasse dei potenti attuali. Anzi, i forti del futuro se ne fanno beffe: quanto lavoro risparmiato, quanto tempo guadagnato, quanta «volgarità» serbata; e, dall’altro lato, per i capitalisti, quanto zelo di schiavitù «disinteressata», per sé stessi e per gli altri. E’ stato solo necessario, per rendere gregari i capitalisti, far colare davanti a loro il desiderio di ricchezza, potenza, dominio e impunità. Più schiavi degli schiavi ultimi, più atrocemente beffati degli altri beffati dalla storia, più incapaci di rivolta rispetto agli altri dominati, ancor più preda del desiderio degli altri desideranti, più soggiogati dal processo inarrestabile di livellamento degli altri livellati, i capitalisti e gli amministratori stolti dell’ordinamento economico sono coloro i quali il dominio finale dei forti dell’avvenire renderà più disperati e sbigottiti, allorquando realizzeranno l’incubo di esser stati soverchiati da una genìa di scrocconi insolenti che odiano la ricchezza e la virtù borghese. Si dirà: il senso e lo scopo di tutto ciò? Quale senso e quali scopi perseguono i forti dell’avvenire per essere dati come «opposti» a quelli in auge presso l’attuale «gerarchia di potenti»? E’ di nuovo Klossowski a indicare la soluzione dell’enigma nietzscheano:

Il senso e lo scopo sono quelli che Nietzsche ha previsto a quasi un secolo di distanza, cioè la pianificazione o la gestione planetaria. Le gerarchie operanti al tempo di Nietzsche non ne avevano alcuna nozione, i vaticini nietzscheani si riferiscono a quelle di oggi: mutatis mutandis il rapporto delle gerarchie attuali con le gerarchie occulte rimane uguale. Le prime operano, lavorano, pianificano per il meglio o per il peggio: ma gli occulti, da una generazione all’altra, si riservano di rovesciare, a un dato momento, il «significato» ultimo, ovverossia di trarre le conseguenze da quell’immenso lavoro di «schiavi inconsapevoli», al momento stabilito. Come Nietzsche diceva della Chiesa e della Russia, gli occulti possono attendere( NCV [ II ], 218 ).


Ma cosa ne pensa Deleuze di questi «vaticini» nietzscheani e di queste elucubrazioni klossowskiane? Troviamo un’illuminante risposta in una suggestiva variazione dei vaticini profetici del filosofo prussiano in Mille piani, nel piano intitolato 587 a.c. e 70 d.c. su alcuni regimi di segni quando gli autori sovrappongono le fisionomie dei profeti ebraici a quella di Nietzsche. Scrivono infatti Deleuze e Guattari:

Il profeta non è un prete. Il profeta non sa parlare. Dio gli mette le parole in bocca, manducazione della parola, una nuova forma di semiofagia. All’opposto del divinatore, il profeta non interpreta nulla: ha un delirio d’azione più che un delirio di idea o di immaginazione, ha un rapporto con Dio passionale e autoritario anziché dispotico e significante, svela e previene le potenze del futuro, invece di applicare i poteri presenti e passati”.
(MP, 176-77)


Il Nietzsche-profeta dionisiaco ha dunque, per Deleuze, «un delirio d’azione più che un delirio d’idea o d’immaginazione», non interpreta nulla perché una nuova forma di semiofagia gli mette le parole in bocca, in un nuovo «regime passionale autoritario», nel quale «svela e previene le potenze del futuro, invece di applicare i poteri presenti e passati», esattamente come Nietzsche ha implicitamente indicato nel frammento I forti dell’avvenire del 1887.

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martedì 29 settembre 2015

Ritorno al 1972: il desiderio pulsante dello schiavo sazio - Parte VI - Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski e la politica accelerazionista di Nietzsche» di Obsolete Capitalism

Ritorno al 1972: il desiderio pulsante dello schiavo sazio


C.2.6. - Parte VI -

Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski e la politica accelerazionista di Nietzsche» 
di Obsolete Capitalism

Dopo aver indagato a fondo i protagonisti delle lotte negli scenari nietzscheani, e come si pongono rispetto alla realtà delle cose, ritorniamo al 1972 e alla frase lasciata in sospeso riguardante il desiderio e la potenza - “Come si giunge a desiderare la potenza, ma anche la propria impotenza?. Possiamo ora abbozzare una risposta corretta, seguendo il senso di quanto esprimono Deleuze e Guattari subito prima  della domanda sopra riportata:

" In certo qual modo, gli economisti capitalistici non hanno torto nel presentare l’economia come se dovesse perennemente venir «monetizzata», come se bisognasse insufflarvi sempre dall’esterno della moneta secondo un’offerta e una domanda. Proprio così infatti tutto il sistema regge e funziona, e attua perpetuamente la propria immanenza. Proprio così è l’oggetto globale d’un investimento di desiderio. Desiderio del salariato e desiderio del capitalista, tutto pulsa dello stesso desiderio (...) ” (AE, 271).


Il passo in questione è dunque da leggere, alla luce di quanto emerso nei precedenti paragrafi, in questa tonalità: se l’intero sistema-mondo si basa sulla costante iniezione di denaro a tutti i livelli, la cosiddetta monetarizzazione del Tutto, allora questo irroramento immanente non solo permea tutto il pianeta ma si fonde in un unico ente con l’«investimento di desiderio». La moneta, nella sua azione monetizzatrice del Tutto, è l’oggetto «universale» del desiderio degli uomini contemporanei, sia come gregari e livellati - «il desiderio del salariato» sviluppato attraverso il suo potere d’acquisto - sia come falsi padroni e schiavi inconsapevoli - «il desiderio del capitalista» accresciuto dalla sua ricerca spasmodica di ricchezza illimitata per sè - ; ogni cosa «pulsa dello stesso desiderio». Desiderare allora la propria «schiavitù/impotenza» è da intendersi, per il salariato, in due modi: il primo modo riprende con elementi di realtà rovesciata il discorso del desiderio. L'operaio, il proletario, il ceto meno abbiente, che desidera gli stessi desideri, anche se in scala minore, del capitalista è già in partenza un vinto, un debole, uno schiavo, in quanto «vittima» della conquista del campo sociale da parte dei flussi capitalistici di desiderio: il salario - con il suo potere d'acquisto e la moneta-credito in cui è espresso, e attraverso lo specifico circuito creato dall'economia di mercato per le compra-vendite al minuto - viene scambiato con beni primari e secondari. Ciò determina che il desiderio dei beni raggiungibili e godibili attraverso il salario e i flussi monetari di moneta credito si avviluppino insieme e formino quella dimensione in cui il «vinto» desideri solo la propria sazietà, cioè la propria schiavitù «sazia», non percepita perché satolla del «goduto», ben espressa dalla categoria merceologica del «consumatore» in cui egli stesso come «debole» si insinua e poi risiede. L'operaio-salariato è qui vinto dalla dimensione capitalistico-consumistica espressa dalla sequenza lineare «oggetto-mercato-liquidità» e il desiderare la propria schiavitù-impotenza è sempre il risultato secondario, il sottoprodotto, dell’azione di coloro che desiderano la potenza di «seconda istanza», cioè il dominio, attraverso il consenso «reattivo» a favore dei «valori stabiliti» e la promozione raffinata del desiderare il desiderio del potere d’acquisto che, in ultima istanza, significa disponibilità economica e acquisizione di prodotti e servizi. Scrive Deleuze a proposito della «distinzione di forze»:

" Le forze inferiori obbediscono; ma non per questo cessano di essere forze e di distinguersi dalle forze che comandano. L'obbedire è una qualità della forza in quanto tale ed è in rapporto con la potenza tanto quanto il comandare: «la forza propria non va affatto perduta. Allo stesso modo, nel comandare c'è un ammettere che la forza assoluta dell'avversario non è sconfitta, fagocitata, dissolta. "Comandare" e "obbedire" sono forme complementari della lotta» (OFP 1884-1885, 238). Le forze inferiori vengono definite reattive; esse non perdono affatto la loro forza, la loro quantità di forza, anzi la esercitano e ne garantiscono i meccanismi e le finalità, le condizioni di vita e le funzioni, i fini di conservazione, di adattamento e di utilità. " (FP, 61)

Questo movimento reattivo delle forze inferiori determina il secondo modo del desiderare la propria schiavitù-impotenza. Il lavoratore-salariato che attraverso il proprio livellamento generalizzato, guadagnato attraverso il suo porsi all'interno della categoria mondiale dei consumatori salariati generici, normati e profilati, accetta in modo supino che una gerarchia superiore lo domini, uniformandosi in modo «meccanico e utilitaristico» (NF, 61) ai costumi morali e ai consumi reali che i «pochi», i falsi padroni della presunta gerarchia, esercitano sui «molti», gli schiavi sazi, attraverso il controllo del desiderio. In questo modo, attraverso la triste accettazione delle forme di coercizione imposte dalle forze superiori, il lavoratore-salariato - desiderando la potenza minore del consumo - desidera come un automa la propria «impotenza» politica, soggiogato dal flusso scorrevole di merce e desiderio «senza limite assegnato». Per brevità si potrebbe riassumere in questo modo: il primo modo è l'operaio - salariato che accetta di desiderare e dunque accetta il ruolo e il modello del consumatore; il secondo modo è il lavoratore-salariato che, a causa del livellamento della sua posizione «reattiva» come consumatore generico, accetta la subalternità, come «prima natura» del mondo del consumo e del desiderio, e l’evidente sperequazione economica, come un fattore endemico dell'economia di mercato. La volontà reattiva del consumatore e del gregario si «curva» nel desiderare la propria schiavitù/impotenza.  

lunedì 28 settembre 2015

L’inedito scenario dei «tre nel quattro» - Parte V - ( Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski e la politica accelerazionista di Nietzsche» di Obsolete Capitalism)

L’inedito scenario dei «tre nel quattro»

C.2.5. - Parte V -

Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski e la politica accelerazionista di Nietzsche» 
di Obsolete Capitalism


Il paragrafo precedente ci ha restituito un inedito scenario a quattro. Nello scenario nietzscheano, allo schema bipolare di «forti» e «deboli», non corrispondono uguali attori nello scenario che qui, per semplicità, chiameremo «Mondo-così-come-è» o del «senso comune». Se a livello nominale possono essere suddivisi in «forti» e «deboli» in ambedue gli scenari, in un quadro compositivo sovrapposto non corrispondono né i forti nietzscheani con i forti del «Mondo-così-com-è», né i deboli nietzscheani con i deboli del «senso comune». Deleuze infatti scrive a questo proposito:


"Ora la storia ci mette di fronte al fenomeno più strano: le forze reattive trionfano, la negazione ha il sopravvento nella volontà di potenza! Non si tratta soltanto della storia dell'uomo, ma della storia della vita, e di quella della Terra, almeno sulla sua superficie abitata dall'uomo" (N, 27).


Il «movimento» di Nietzsche è, sic et simpliciter, di segno contrario al «movimento» del Mondo intero e della storia della vita. E’ il contromovimento di Nietzsche (FOP, fr. 10 [ 17 ], VIII/2, 113-14; NCV, [ II ], 218). Per chiarire però lo scenario che ci si presenta, e per inquadrare con esattezza ciò che abbiamo elaborato in precedenza, dobbiamo valutare un'importante nozione, colta dal frammento postumo I forti dell'avvenire (FOP, fr. 9 [ 153 ], 78-79; NCV, [ II ], 220-21). Anche qui andiamo per gradi: 1) primo scenario, lo scenario filosofico futuribile auspicato da Nietzsche: i deboli, i livellati, ricoprono lo spazio gregario nell’ordinamento futuro e l’asservimento diventa una virtù in quanto «base» consapevole di uno «spreco», di un «lusso» proiettato nell’avvenire della differenziazione degli inassimilabili. I forti dell’avvenire sono il risultato di una «secrezione» determinata dal raggiunto livellamento trasformativo della classe gregaria. Lo spreco e lo sforzo comune per raggiungere il doppio movimento di rimpicciolimento dell’uomo europeo e di differenziazione anacronica degli inassimilabili sono giustificati dall’inesorabilità del processo di livellamento già in atto nell’«ordinamento vigente» ma non ancora terminato ai tempi di Nietzsche. 2) secondo scenario: è lo scenario in via di attualizzazione, già storicizzato, che precede quello auspicato da Nietzsche. Qui i «deboli», gli «impotenti» sono coloro, le masse, che sono sottomessi e brutalizzati dall’«ottimismo economico» (FOP, fr. 10 [17], VIII/2, 113-14) in auge nell’ordinamento vigente. I potenti sono la classe che per stratificazione governa il processo di livellamento dell’uomo europeo che - ricordiamolo - è frutto in primis di una gerarchizzazione basata esclusivamente sulla «capacità degli uomini di fare denaro» (Musil, L’uomo tedesco come sintomo). Finché non è giunto a termine il processo di livellamento imposto dall’ottimismo economico e dall’ordinamento vigente, gli attori dei due scenari sono quattro: due nel futuro, due nel presente, ma non «rimano» tra di loro. I potenti e gli impotenti che si fronteggiano nella piramide gerarchica della realtà esperita, all’interno della filosofia della «volontà di potenza in prima istanza» di Nietzsche sono sintetizzabili nella figura futura dei «livellati». Su questo punto, è decisiva l'analisi di Pierre Klossowski nel suo libro del 1969, Nietzsche e il circolo vizioso:


"Il progetto che prevede una «classe» di schiavi sazi e soddisfatti del loro destino, a beneficio di padroni austeri e sobri [ i forti dell’avvenire ], come esigono i loro «compiti creativi», è solo una sistematizzazione di ciò che Nietzsche constata nell’ordinamento già vigente: e cioè che la falsa gerarchia attuale della pretesa classe dirigente, la quale pensa di determinare il destino degli individui più rari [ i forti dell’avvenire ], confusi nella massa, in realtà esime dai suoi compiti più vili la gerarchia inversa e segreta: quella formata dai «superflui» inassimilabili all’interesse generale. I «dirigenti» (industriali, militari, banchieri, commercianti, funzionari, ecc.), nelle loro mansioni, sono di fatto soltanto degli schiavi che lavorano senza saperlo per i padroni occulti, dunque per la casta contemplativa che forma continuamente i «valori» e il senso della vita
(NCV [ II ], 217).


I due scenari antitetici che si erano aperti con le quattro figure, in realtà, sono ora ridotti a distillare solo tre figure: 
i «forti dell'avvenire» si confronteranno, nello spazio delle lotte future, con i «livellati», una omni-classe che ingloberà gli attuali «potenti», i falsi padroni, la gerarchia inversa ai forti dell’avvenire, e gli attuali «impotenti», gli schiavi sazi e soddisfatti del loro destino. La volontà di potenza di «prima istanza» si ergerà contro la potenza di volontà di «seconda istanza».  
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domenica 27 settembre 2015

La volontà di potenza «in seconda istanza» - Parte IV - ( Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski e la politica accelerazionista di Nietzsche» di Obsolete Capitalism)

La volontà di potenza «in seconda istanza»

Individuata la figura che per Nietzsche è, in prima istanza, l’affermatore della vita, colui che dice alla creazione e al dono esprimendo un no al «Mondo-così-come-è», si tratta ora di individuare chi, «in seconda istanza», desidera la «volontà di potenza» affermando una falsa e malata «volontà di potenza», opposta a quella «prima istanza» così fermamente e fondatamente elaborata da Nietzsche. Qui abbiamo una sorpresa, una vera e propria rottura rispetto a tutta la tradizione precedente, sia politica, che religiosa; si tratta di un «cesura» che marca una radicale differenza tra Nietzsche e tutto il pensiero umano, ed è qui che risiede una riflessione tra le più emblematiche del suo pensiero sulla psicologia umana. In tutte le società che si sono susseguite da oggi a ritroso nel tempo, le forze che si contrappongono nell'arena del sociale sono stigmatizzate in modo gerarchico: i «forti» sono sopra, a causa di una gerarchia fortemente strutturata e stratificata e i «deboli» sotto, in forza di una indifferenziata massa assoggettata ai poteri inerti e inesauribili, in una classica bipartizione dello spazio del dominio che varia di poco negli evi che si sono susseguiti fino ad oggi. Se alla coppia di termini forte/debole, o potente/impotente, indifferenziato/differenziato, sostituiamo le diadi patrizio/plebeo, signore/schiavo, nobile/servo della gleba, oppure padrone/operaio, possiamo con assoluta certezza enucleare tra le forze che vogliono ribaltare i rapporti di forza tra i «pochi» e i «molti» quegli storici schieramenti evocati e forgiati da pensatori della tradizione occidentale quali Paolo di Tarso e Marx. Non così Nietzsche. Egli considera tutte e due le forze storiche come «reattive», con lo stesso tipo di disegno di dominio [ industriale ed economico ] e con lo stesso «desiderio di volontà di potenza».  Volere il dominio, desiderare di conquistare con la forza, è una «seconda istanza» della volontà di potenza. Afferma infatti Deleuze:
"È per volontà di potenza che una forza domina, ma è pure per volontà di potenza che una forza obbedisce" (N, 26). Cosa ancor più decisiva: "la volontà di potenza è l'elemento differenziale da cui derivano le forze presenti (e la loro qualità rispettiva) in un complesso" (N, 26). Le forze presenti in un dato scenario sono sempre di due tipi, dominanti e dominate - ma meglio sarebbe denotarle come differenziate e indifferenziate - e possiedono due importanti caratteri, che Deleuze afferma essere «ultimi e fluenti, più profondi di quelli delle forze che ne derivano»:


"Perché la volontà di potenza fa in modo che le forze attive affermino, e affermino la propria differenza: in esse l'affermazione è primaria e la negazione non è mai altro che una conseguenza, come un sovrappiù di godimento. Ma la proprietà delle forze reattive, al contrario, è quella di opporsi in prima istanza a ciò che esse non sono, di limitare l'altro: in esse la negazione è primaria, è attraverso la negazione che giungono ad una parvenza di affermazione. Affermazione e negazione sono dunque i qualia della volontà di potenza, come attivo e reattivo sono le qualità delle forze"
(N, 27).  
Questo passaggio è di un'importanza estrema. Seguiamolo passo per passo. La volontà di potenza nietzscheana - o di «prima istanza» - lavora, elabora, esegue e si comporta per l'affermazione del sì e della differenza: è un sì biforcante, che produce affermatività differenziandosi. Allo stesso tempo, la medaglia del sì ha come conseguenza diretta - in un lato non nascosto, nemmeno implicito, ma del tutto esplicito e trasparente - il no, la negazione nei confronti di «ciò-che-si-presenta». Il Sì alla Vita è un No al Mondo. Il Sì alla Differenza è un No all'Ugualizzazione. Il No ha come un surplus di godimento a causa della agonizzazione del confronto tra Sì e No: è il piacere del rifiuto da parte del Sì. Vedremo più avanti, nei prossimi paragrafi, che le forze attive che presiedono la «prima istanza» sono le forze «accelerazioniste», che fanno della rapidità d'esecuzione una delle qualità strategiche del proprio intenso operare. Di converso, le forze attive si fronteggiano nella «prima istanza» alle forze reattive, le quali sono, per inferenza logica, a favore di un No alla Vita intesa come Differenza e di un Sì a favore dell'Uguale e del Livellamento. Per queste forze reattive che si oppongono con furore a «ciò che non sono», e che dunque temono la differenza, il No è «primario» e il Sì a «ciò-che-si presenta-e-sta» è una parvenza di affermatività. Le forze reattive sono le forze che limitano la volontà di potenza di «prima istanza». Per questo motivo, queste forze reattive le possiamo definire forze «catecontiche»: sono delle entità, dei poteri che frenano, contengono, trattengono. I poteri enigmatici e sorgenti che si confrontano e confliggono in scenari millenari sono dunque forze che hanno qualità accelerazioniste, e dunque attive, e catecontiche, e quindi reattive.      

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