mercoledì 21 ottobre 2015

2.12. In verità vi dico: non abbiamo ancora visto nulla - Parte XX - Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski» (Rizosfera/Obsolete Capitalism Free Press, 2016)

In verità vi dico: non abbiamo ancora visto nulla

2.12. - Parte XX -
Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Nietzsche e la politica accelerazionista in Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski» (Rizosfera/Obsolete Capitalism Free Press, 2016)
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Passiamo ora all’ultima frase del passaggio «accelerazionista» della Macchina capitalistica civilizzata - in verità, su questo capitolo, non abbiamo ancora visto nulla”; qui dobbiamo effettuare un salto all’indietro nel tempo, e valutare di nuovo come nell’intreccio della «comunità nietzscheana rivoluzionaria» ci siano sempre dei concatenamenti e dei rimandi continui, come un dialogo interno con temi e nodi, ora lasciati in sospeso, ora in auge e poi sviluppati. Ci dobbiamo installare, come punto privilegiato d’analisi, nell’intervento che Michel Foucault effettua nel luglio del 1964 a Royaumont, nel primo dei seminari su Nietzsche organizzato da Deleuze: si tratta del celebre Nietzsche, Freud, Marx (FD, 137-146). E’ un intervento che riguarda le tecniche di interpretazione in Marx, Nietzsche e Freud ma, a causa di una indubbia convergenza temporale, contribuisce a creare - con Paul Ricoeur, pur nella loro radicale differenza - quella definizione divenuta celebre di «maestri del sospetto» che sarebbe rimasta appiccicata ai tre autori fino ai giorni nostri. Sostanzialmente Foucault argomenta che Marx, Freud e Nietzsche “hanno fondato da zero la possibilità di una ermeneutica” (FD, 139). Le opere dei tre autori hanno inferto una profonda ferita al pensiero occidentale in quanto lo hanno posto di fronte a nuove tecniche interpretative; ciò “ha messo [noi occidentali] in una posizione scomoda, perché queste tecniche di interpretazione riguardano noi stessi, visto che noi, gli interpreti, abbiamo cominciato a interpretarci con queste stesse tecniche” (FD, 139). D’altra parte, se queste tecniche sono necessarie, lo sono perché il linguaggio è sospetto. «Sospettare il linguaggio» significa che il linguaggio “vuole dire altro [da] ciò che esprime” e “che ci sia linguaggio altrove che nel linguaggio” (FD, 138). Per Foucault ci sono quattro caratteristiche della nuova ermeneutica che sono alla base del sistema di interpretazione al quale, ancora oggi, apparteniamo: profondità intesa come esteriorità, incompiutezza, preminenza in rapporto ai segni, infinita auto-interpretazione. Nell’intervento di Foucault, c’è però un’istanza più profonda che Deleuze coglie e fa sua nelle Conclusioni del convegno di Royaumont:
la ragione più generale per la quale ci sono tante cose nascoste, in Nietzsche e nella sua opera, è di ordine metodologico. Una cosa non ha mai un unico senso. Ogni cosa ha più sensi che esprimono le forze e il divenire delle forze che si agitano in essa. Anzi, non c’è la «cosa», bensì soltanto delle interpretazioni e la pluralità dei significati. Interpretazioni che si nascondono in altre, come maschere incastrate, linguaggi inclusi gli uni negli altri. Foucault ce l’ha mostrato: Nietzsche inventa un concetto nuovo e dei nuovi metodi di interpretazione. (...) Alla logica si sostituisce una topologia e una tipologia: ci sono interpretazioni che presuppongono una maniera bassa o vile di pensare, di sentire e perfino di vivere, altre che testimoniano di una nobiltà, generosità, creatività…, così che le interpretazioni denunciano innanzitutto il «tipo» di colui che interpreta e rinunciano di fronte alla questione «che cosa?» per promuovere quella del «chi?»” (DM, 14-15).

Contro gli intellettuali del suo tempo che accomunano i tre supposti maestri del pensiero occidentale in una riflessione irenizzata, insorge Deleuze in Pensiero nomade, stigmatizzando di abominevole sintesi tale postura intellettuale: “Si ritiene che all’alba della nostra cultura contemporanea stia la trinità Nietzsche, Freud, Marx. Poco importa che siano stati anzitempo disinnescati” (ID, 320). Chi ha portato avanti questa operazione e con quali fini? L’operazione di disinnesco, per Deleuze, è stata resa possibile dalla filosofia contemporanea - nello stesso momento in cui ha assunto i contorni di uno spiritualismo rinascente - e dall’ermeneutica, soprattutto quando insieme effettuano una deformazione tale delle nozioni di «senso» e «valore» che resuscitano l’Essenza, ritrovando in questo modo tutti i valori religiosi e sacri (ID, 169). Per Deleuze permangono delle ambiguità nell’utilizzo della Trinità: “Che la filosofia contemporanea abbia trovato la fonte del suo rinnovamento nella trinità Nietzsche-Marx-Freud è già di per sé molto ambiguo, molto equivoco. Deve infatti essere interpretato sia negativamente che positivamente. Dopo la guerra, per esempio, sono fiorite varie filosofie dei valori. Si parlava molto di valori, si voleva sostituire l’«assiologia» all’ontologia e alla teoria della conoscenza… Non però in maniera nietzscheana o marxista. Al contrario, di Nietzsche o Marx non si parlava affatto, non erano conosciuti, non li si voleva conoscere. Si considerava il «valore» come luogo di una resurrezione per lo spiritualismo più astratto, più tradizionale: ci si richiamava ai valori per indurre a un nuovo conformismo, ritenuto più adatto al mondo odierno, come ad esempio, il rispetto dei valori, eccetera. Per Nietzsche, e anche per Marx, la nozione di valore è strettamente inseparabile: 1) da una critica radicale e completa del mondo e della società, basti vedere il tema del «feticcio» in Marx o quello degli «idoli» in Nietzsche; 2) da una non meno radicale creazione, la trasvalutazione di Nietzsche, l’azione rivoluzionaria di Marx. Era necessario, in questo dopo guerra, servirsi del concetto di valore: ma lo si è neutralizzato completamente, privandolo di ogni senso critico o creativo, riducendolo a strumento dei valori stabiliti. Ecco allora l’Anti-Nietzsche allo stato puro, anzi, peggio che l’Anti-Nietzsche, il Nietzsche deviato, annichilito, soppresso, canonizzato” (NF-PN, 298-99). C’è però un’ulteriore precisazione, ai nostri fini decisiva, che Deleuze esplica con un’insolita durezza in Pensiero Nomade: “Ma anche concesso che Marx e Freud siano l’alba della nostra cultura, Nietzsche è comunque tutt’altra cosa, è l’alba di una controcultura” (NF-PN, 310). Come abbiamo già rilevato nel precedente paragrafo Liberazione di tutte le maschere (2.6), i divenire marxisti e freudiani e le loro burocrazie producono instancabilmente delle ricodificazioni istituzionali e familiari. Su Nietzsche, invece, non è possibile ricodificare alcunché, anzi il suo pensiero è inutilizzabile a questi fini (ID, 320). Ecco dunque un primo motivo per cui “non si è ancora visto nulla”: se in Occidente si è ancora - 1972 - al primo stadio di una «controcultura», libera dalle burocrazie che invece hanno sterilizzato la radicalità di Marx e Freud, ciò significa che essa muove ancora i primi passi e non ha ancora dispiegato i propri effetti. Il secondo motivo per cui “su questo capitolo, non si è ancora visto nulla” è strettamente legato al precedente, se assumiamo che la locuzione “su questo capitolo” sia da intendersi sul «capitolo» dell’accelerazione del processo, del “guastare” i codici e del “seguire i flussi che costituiscono altrettante linee di fuga nella società capitalista”: non si è ancora visto nulla poiché si è all’inizio di una consapevolezza rivoluzionaria figlia del nuovo modo di leggere Nietzsche, del pensiero della «comunità rivoluzionaria nietzscheana» francese, e del percorso delle forze sovversive uscite dal Maggio 1968. Crono-itinerari brevi, divorati con grande celerità, ma nel 1972, ancora «novissimi». Dopo tutto, non si tratta di una generazione che, ignara, si prepara alla sedizione già nelle culle o sui banchi di scuola? Attenti alle culle, affermano dunque Deleuze e Guattari tra una risata delirante e il fosco augurio di un futuro minaccioso, la rivoluzione è in itinere, siamo all’inizio di una controcultura combattiva e consapevole. Come ogni lettore del presente saggio sa, quest’augurio destabilizzante non si è realizzato - nel breve periodo; ma chi può mai dire, come scrive Klossowski e come pensano Deleuze, Guattari e Foucault, che i forti dell’avvenire così come la comunità ombra di singolarità inassimilabili, non siano confusi tra la folla e che, dunque, l’uomo al silicio e il cospiratore nomade attendano nel non-tracciabile e nell’impercettibile?

picblog: immagini del «fronte» delle esequie pubbliche di Pierre Overney, Parigi, 4 marzo 1972.

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