mercoledì 25 settembre 2013

Giorgio Agamben - Pilato e Gesù - Nottetempo (Settembre 2013)


Filosofi e storici hanno riflettuto sull'obbedienza, su perché gli uomini obbediscono, ma si sono chiesti di rado che cosa sia il comando e perché gli uomini comandano. Anticipando una ricerca più ampia tuttora in corso, questa agile conferenza interroga il problema del comando innanzitutto a partire dalla sua forma linguistica, l'imperativo. Che cosa facciamo quando diciamo: "cammina!", "parla!" ,"obbedisci!"? E come mai l'imperativo sembra essere, secondo i linguisti, la forma originaria del verbo? E perché Dio, in ogni religione. parla sempre all'imperativo e gli uomini si rivolgono a lui nello stesso modo verbale ("dacci oggi il nostro pane quotidiano!")? Cercando di rispondere a queste domande, Agamben mostra che, nella cultura occidentale, che si crede fondata sulla conoscenza e sulla funzione di verità, il comando. che non può essere né vero né falso, svolge una funzione tanto più decisiva e invadente, quanto più nascosta e elusiva.

In questo saggio, di poco più di 60 pagine, Giorgio Agamben mette in relazione le figure lontanissime di Pilato e Gesù. Riprendendo i quattro Vangeli canonici, alcuni Vangeli apocrifi e gli scritti di Agostino, Dante, Tommaso d’Aquino, Porfirio, Kierkegaard, Pascal e di esperti giuristi, il filosofo ricostruisce, passo passo, il processo indetto contro Gesù e illumina, soprattutto concentrandosi sul Vangelo di Giovanni, gli aspetti giuridici, filosofici e religiosi del dialogo tra il governatore della Giudea e il figlio di Dio. Il confronto non è tanto tra verità e scetticismo, fede e incredulità, ma forse, lascia intendere il filosofo, è tra due diverse concezioni della verità (in relazione alla frase pronunciata da Pilato: Che cos’è la verità?). E’ interessante la divisione che il filosofo fa del Vangelo di Giovanni delle sette scene dentro e fuori dal pretorio (in circa cinque ore) in cui Pilato parlò con Gesù. Infine viene dato spazio ai dubbi di alcuni giuristi se il processo di Gesù possa o meno essere considerato corretto secondo le procedure del diritto romano.

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