martedì 29 settembre 2015

Ritorno al 1972: il desiderio pulsante dello schiavo sazio - Parte VI - Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski e la politica accelerazionista di Nietzsche» di Obsolete Capitalism

Ritorno al 1972: il desiderio pulsante dello schiavo sazio


C.2.6. - Parte VI -

Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski e la politica accelerazionista di Nietzsche» 
di Obsolete Capitalism

Dopo aver indagato a fondo i protagonisti delle lotte negli scenari nietzscheani, e come si pongono rispetto alla realtà delle cose, ritorniamo al 1972 e alla frase lasciata in sospeso riguardante il desiderio e la potenza - “Come si giunge a desiderare la potenza, ma anche la propria impotenza?. Possiamo ora abbozzare una risposta corretta, seguendo il senso di quanto esprimono Deleuze e Guattari subito prima  della domanda sopra riportata:

" In certo qual modo, gli economisti capitalistici non hanno torto nel presentare l’economia come se dovesse perennemente venir «monetizzata», come se bisognasse insufflarvi sempre dall’esterno della moneta secondo un’offerta e una domanda. Proprio così infatti tutto il sistema regge e funziona, e attua perpetuamente la propria immanenza. Proprio così è l’oggetto globale d’un investimento di desiderio. Desiderio del salariato e desiderio del capitalista, tutto pulsa dello stesso desiderio (...) ” (AE, 271).


Il passo in questione è dunque da leggere, alla luce di quanto emerso nei precedenti paragrafi, in questa tonalità: se l’intero sistema-mondo si basa sulla costante iniezione di denaro a tutti i livelli, la cosiddetta monetarizzazione del Tutto, allora questo irroramento immanente non solo permea tutto il pianeta ma si fonde in un unico ente con l’«investimento di desiderio». La moneta, nella sua azione monetizzatrice del Tutto, è l’oggetto «universale» del desiderio degli uomini contemporanei, sia come gregari e livellati - «il desiderio del salariato» sviluppato attraverso il suo potere d’acquisto - sia come falsi padroni e schiavi inconsapevoli - «il desiderio del capitalista» accresciuto dalla sua ricerca spasmodica di ricchezza illimitata per sè - ; ogni cosa «pulsa dello stesso desiderio». Desiderare allora la propria «schiavitù/impotenza» è da intendersi, per il salariato, in due modi: il primo modo riprende con elementi di realtà rovesciata il discorso del desiderio. L'operaio, il proletario, il ceto meno abbiente, che desidera gli stessi desideri, anche se in scala minore, del capitalista è già in partenza un vinto, un debole, uno schiavo, in quanto «vittima» della conquista del campo sociale da parte dei flussi capitalistici di desiderio: il salario - con il suo potere d'acquisto e la moneta-credito in cui è espresso, e attraverso lo specifico circuito creato dall'economia di mercato per le compra-vendite al minuto - viene scambiato con beni primari e secondari. Ciò determina che il desiderio dei beni raggiungibili e godibili attraverso il salario e i flussi monetari di moneta credito si avviluppino insieme e formino quella dimensione in cui il «vinto» desideri solo la propria sazietà, cioè la propria schiavitù «sazia», non percepita perché satolla del «goduto», ben espressa dalla categoria merceologica del «consumatore» in cui egli stesso come «debole» si insinua e poi risiede. L'operaio-salariato è qui vinto dalla dimensione capitalistico-consumistica espressa dalla sequenza lineare «oggetto-mercato-liquidità» e il desiderare la propria schiavitù-impotenza è sempre il risultato secondario, il sottoprodotto, dell’azione di coloro che desiderano la potenza di «seconda istanza», cioè il dominio, attraverso il consenso «reattivo» a favore dei «valori stabiliti» e la promozione raffinata del desiderare il desiderio del potere d’acquisto che, in ultima istanza, significa disponibilità economica e acquisizione di prodotti e servizi. Scrive Deleuze a proposito della «distinzione di forze»:

" Le forze inferiori obbediscono; ma non per questo cessano di essere forze e di distinguersi dalle forze che comandano. L'obbedire è una qualità della forza in quanto tale ed è in rapporto con la potenza tanto quanto il comandare: «la forza propria non va affatto perduta. Allo stesso modo, nel comandare c'è un ammettere che la forza assoluta dell'avversario non è sconfitta, fagocitata, dissolta. "Comandare" e "obbedire" sono forme complementari della lotta» (OFP 1884-1885, 238). Le forze inferiori vengono definite reattive; esse non perdono affatto la loro forza, la loro quantità di forza, anzi la esercitano e ne garantiscono i meccanismi e le finalità, le condizioni di vita e le funzioni, i fini di conservazione, di adattamento e di utilità. " (FP, 61)

Questo movimento reattivo delle forze inferiori determina il secondo modo del desiderare la propria schiavitù-impotenza. Il lavoratore-salariato che attraverso il proprio livellamento generalizzato, guadagnato attraverso il suo porsi all'interno della categoria mondiale dei consumatori salariati generici, normati e profilati, accetta in modo supino che una gerarchia superiore lo domini, uniformandosi in modo «meccanico e utilitaristico» (NF, 61) ai costumi morali e ai consumi reali che i «pochi», i falsi padroni della presunta gerarchia, esercitano sui «molti», gli schiavi sazi, attraverso il controllo del desiderio. In questo modo, attraverso la triste accettazione delle forme di coercizione imposte dalle forze superiori, il lavoratore-salariato - desiderando la potenza minore del consumo - desidera come un automa la propria «impotenza» politica, soggiogato dal flusso scorrevole di merce e desiderio «senza limite assegnato». Per brevità si potrebbe riassumere in questo modo: il primo modo è l'operaio - salariato che accetta di desiderare e dunque accetta il ruolo e il modello del consumatore; il secondo modo è il lavoratore-salariato che, a causa del livellamento della sua posizione «reattiva» come consumatore generico, accetta la subalternità, come «prima natura» del mondo del consumo e del desiderio, e l’evidente sperequazione economica, come un fattore endemico dell'economia di mercato. La volontà reattiva del consumatore e del gregario si «curva» nel desiderare la propria schiavitù/impotenza.  

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