martedì 11 giugno 2013

Antonio Negri: La filologia vivente di un appuntamento mancato - Recensione di Ordo e connexio, Nicola Marcucci (ed.), Mimesis @ Il Manifesto, 7 giugno 2013



Antonio Negri: La filologia vivente di un appuntamento
 mancato @ Il Manifesto, 7 giugno 2013

Spinoza e le «scienze sociali». Il difficile se non impossibile incontro tra la filosofia critica e una visione neutrale del sociale Un percorso di lettura a partire dal volume collettivo «Ordo e connexio» pubblicato da Mimesis

Da tempo ormai la questione (meglio, il problema - perché tutt'altro che diretta e lineare ne è la risposta) dell'utilità dello spinozismo per le scienze sociali è aperta. Pochi anni fa mi capitò di partecipare ad un seminario parigino sul medesimo tema. Annotavo allora come, nel procedere su questo terreno, la difficoltà stesse nel configurare non tanto l'importanza del pensiero di Spinoza per la ricerca sociale quanto il dubbio se ci fosse una sociologia capace di cogliere la portata della critica. «La sociologia si propone come una scienza Wertfrei, cioè come scienza avalutativa che riguarda un oggetto specifico (il sociale); oppure si propone come una disciplina positiva che ha per oggetto l'istituzione. Essa si presenta allo stesso tempo come una rottura con le teorie naturaliste del sociale, a fortiori con il giusnaturalismo, e come rottura con le teorie normative o performative di quel conatus del sociale che il politico rappresenta». E aggiungevo che in Spinoza quelle due rotture erano impensabili: se infatti lì si fosse arrivati a definire qualcosa che assomigliasse ad una sociologia, questo qualcosa sarebbe stato insieme naturalista e/o giusnaturalista (cioè ontologicamente fondato) e performativo e/o normativo (cioè eticamente fondato). Insomma avrebbe significato stabilire un nuovo statuto epistemologico della sociologia.

Potenza dell'immaginazione
La lettura della raccolta di saggi che Nicola Marcucci ha messo assieme sotto il titolo Ordo e connexio. Spinozismo e scienze sociali (Mimesis, Spinoziana) mi ha confermato nella mia opinione. I vari saggi, di notevolissima fattura, qui pubblicati, piuttosto che affrontare il terreno dello statuto della scienza sociale a confronto con lo spinozismo, scivolano via dalla questione se e come questo avvenga. In gran parte infatti essi sono saggi di filosofia politica. Lo è il contributo di Maurizio Ricciardi su Tönnies e Spinoza, con una lettura adeguata del filosofo tedesco ed una esaltante rivendicazione della spinoziana «democrazia assoluta», laddove meno te lo aspetteresti. Lo sono il saggio di Christian Lazzeri (soprattutto importanti per chiarire la funzione delle «nozioni comuni» nel pensiero spinozista - cui riportare temi politici durkheimiani); quello di Vittorio Morfino (che continua, lavoro dopo lavoro, ad integrare sempre più profondamente il pensiero althusseriano e la concezione spinozista di una totalità non dialettica); quello di Francesco Piro che insiste su un'opportunità leibniziana di aprire il «naturalismo» alla «politicità»; e quello di Roberto Ciccarelli, sempre arrovellato attorno al tema immanenza-produzione di soggettività (qui, sembra, finalmente condotto alla soglia di un'apertura critica innovativa).
Vi sono poi un paio di saggi che si concentrano su una questione specifica della filosofia politica: il suo farsi (e disfarsi) nella teoria critica francofortese. Il primo, di Chiara Bottici, guarda alla teoria critica a partire da Spinoza, il secondo, quello di Martin Saar, guarda Spinoza a partire da una interpretazione foucaultiana costruita all'interno della scuola di Francoforte. Due saggi impareggiabili per ricchezza di materiali e proposte di lettura spinoziana. È stata per me una gioia leggere le pagine della Bottici sull'immaginazione spinozista o quelle di Saar sull'ontologia della soggettivazione come potenza: se posso ad entrambi azzardare una critica, essa riguarda il fatto che immaginazione e soggettivazione sfiorano solo, e non si immedesimano, alla potenza ontologica della praxis. Ma ancora, nel caso di questi due autori, lo specifico del confronto fra spinozismo e scienze sociali (quelle positive!) manca. 
Nella raccolta di Marcucci vi sono tuttavia saggi che toccano adeguatamente il tema, quello di Roberto Evangelista (Potenza e società tra Spinoza e De Martino) e quello di Gianfranco Mormino (Spunti per una teoria del desiderio in Spinoza e Girard). I temi sociologici propriamente spinozisti dell'imitazione, dell'abitudine, dell'immaginazione sensibile e delle nozioni comuni, vengono qui, sulla base delle innovazioni interpretative della scuola di Alexandre Matheron, confrontati alle consistenti metodologie di antropologi tanto diversi quanto De Martino e Girard. Il tema del transindividuale è qui forse assunto in maniera troppo facile ma i risultati che conducono ad un esito distruttivo di ogni concezione identitaria consolidano la validità dell'approccio. 

La convenzione monetaria
C'è poi il saggio di Frédéric Lordon: Dietro l'ideologia della legittimità. La potenza della moltitudine. Il Trattato politico come teoria generale delle istituzioni sociali. Titolo roboante, ma come capita a chi ha la consuetudine di seguire con continuità il lavoro di quest'autore, accade sovente di scoprirvi elementi preziosi di analisi. Lordon è un economista, Spinoza gli serve per elaborare teoria economica. Talora avviene che Spinoza funzioni quasi da elegante copertura terminologica ad un forte impianto economico. Ma spesso vi si scopre un forte impianto filologico nello spinozismo ed una potente ricerca genealogica delle categorie della scienza economica. Lordon insiste nella possibilità di dare, introducendo il filtro spinoziano, base ontologica ad un convenzionalismo monetario forte. 
Su questa scia vi sono una serie di scritti comuni di Lordon e di André Orléan che hanno rinnovato l'analisi della moneta ed hanno aiutato a comprendere i meccanismi disastrosi della crisi economica a partire dalla perversione della potenza della moltitudine. Laddove il discorso di Orléan si mantiene discretamente sul terreno disciplinare dell'economia politica, lo sforzo di Lordon è quello di avanzare sul terreno di una metodologia generale delle istituzioni politiche. Siamo qui difronte ad un saggio di utilissima lettura per chi, interessato al convenzionalismo monetario, non ne preferisca una versione debole. 
Leggendo questo libro continuo tuttavia a non trovare risposta a quello che esso annuncia nel titolo - una risposta cioè a proposito del nesso tra spinozismo e scienze sociali. All'inizio del suo saggio introduttivo Marcucci indica tuttavia con precisione in che cosa a suo parere esso può consistere: «la complementarietà tra il pensiero di Spinoza e la riflessione teorica delle scienze sociali sarà anzitutto ricostruita riassumendo l'importanza dell'ontologia spinoziana per una teoria dell'agire sociale. Secondariamente si mostrerà come la riflessione spinoziana sull'ordine implica una critica della sua giustificazione analogica. (...) si intende poi evidenziare come la riflessione sulla costituzione degli ordini collettivi converga su una riflessione storico-antropologica sulla natura del sociale. Consiste in ciò il valore critico con cui la riflessione spinoziana può contribuire al dibattito contemporaneo sullo statuto morale e politico delle scienze sociali». D'accordo, però non è sufficiente. 

Domande in attesa di risposte
In realtà una bella risposta all'iniziale interrogativo può solo insorgere se tutti gli elementi che abbiamo qui ritrovati e ricordati sono, per così dire, ripresi e visti dal basso e proiettati, costitutivamente, dentro e contro le scienze sociali. Perché esse non sono indipendenti nell'ordine del sapere e dell'esperienza sociale. Il filosofo e sociologo francese Bruno Karsenti ha di recente pubblicato un libro (D'une philosophie à l'autre. Les sciences sociales et la politique des modernes, Gallimard) forse utile anche per riorientare il nostro approccio spinoziano. Il paradosso dal quale le scienze sociali sono investite - dice Karsenti - è che la società moderna non ci sarebbe se le scienze sociali non l'avessero costruita. Diciamo noi - completando il paradosso - la società capitalista non ci sarebbe se la lotta di classe, e la sua duplicità costitutiva, non l'avesse costruita, percorsa, spezzata e/o ricostruita. Le scienze sociali sono un punto di vista, una conoscenza situata in una prassi costitutiva. Ora, ci permette Spinoza di anticipare questa presa di coscienza prima ed alternativamente allo sviluppo moderno delle scienze sociali? La questione resta aperta. Il meglio che la silloge di analisi raccolta da Marcucci ci offre, è di porre la questione. Un libro da leggere per andare avanti. 


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