Ritorno al 1972. Il paradosso del capitalista: essere gregario pur dominando
C.2.7. - Parte VII -
Tratto da «Moneta, rivoluzione e filosofia dell'avvenire. Deleuze, Foucault, Guattari, Klossowski e la politica accelerazionista di Nietzsche»
di Obsolete Capitalism
Indaghiamo ora la figura del capitalista e del suo desiderio che pulsa in quanto «fraudolento potente», il falso padrone della presunta gerarchia. Per Deleuze, il capitalista e il salariato, pur antitetici nello spazio conflittuale della fabbrica, del mondo del lavoro e della società intera, sono accomunati dalla «monetarizzazione del Tutto» che avanza e stritola il campo sociale. Con la differenza, «minima» se valutata dal punto di vista della «dipendenza», che il salariato ha un’impotenza assoluta rispetto alla «potenza del flusso monetario», mentre il capitalista ha un’impotenza relativa (AE, 271). Ambedue incatenati, pur nelle discordanti volumetrie dei profitti, a quell’«abisso insondabile» dove si generano in modi del tutto «scatenati e selvaggi» sia i flussi d’estrazione di valore, sia le laminazioni reddituali del monte-salari. Capitalisti e salariati, simul stabunt vel simul cadent, in un simbiotico rapporto che coinvolge, a differenti livelli, sia il capitalismo che il socialismo. Per Klossowski, come già abbiamo visto in precedenza, il «capitalista» nelle sue diverse maschere e mansioni di industriale, militare, banchiere, commerciante e funzionario, è «di fatto soltanto uno schiavo che lavora senza saperlo per i padroni occulti» (NCV [ II ], 217). Nietzsche ritiene i capitalisti, all’opposto degli sperimentatori dell’avvenire, come degli «arricchiti» incapaci di rivolta (NCV [ II ], 218). Non solo, ma in qualità di «gerarchia padrona» è ancor più responsabile dell’intollerabile governo senza scopo della «macchina totale» e del generale appiattimento sociale:
“Sulla prima via [ della gestione planetaria ], che si può ora abbracciare perfettamente con lo sguardo, sorge l’adattamento, la superiore cineseria, la modestia degli istinti, la contentezza per il rimpicciolimento dell’uomo - una specie di arresto del livello dell’uomo. Appena avremo raggiunto l’inevitabile amministrazione economica generale della terra, l’umanità come macchina potrà trovare in quel servizio il suo miglior senso: come un enorme ingranaggio di ruote sempre più piccole, sempre più finemente “adattate”: (...) Per parlare in termini morali, quella macchina totale, la solidarietà di tutte le ruote, rappresenta un massimo nello sfruttamento dell’uomo (...)”.
(NCV [ II ], 218-19)
Da questo punto di vista nietzscheano, alla domanda "Chi è il responsabile di tutto ciò?" - che nella versione «processuale» e fluidificante di Deleuze e Guattari nell’Anti-Edipo suona “Come un tal campo sociale ha potuto essere investito dal desiderio?” - è facile individuare nei potenti di oggi la guida gerarchizzata verso quel rimpicciolimento dell’uomo e quella minuziosa riduzione a ingranaggio «solidale a tutte le ruote» che ci indirizza all’«amministrazione economica generale della terra», o per parlare come Deleuze e Guattari, al capitalismo dei flussi che «riproduce i suoi limiti immanenti su scala sempre allargata, sempre più inglobante» (AE, 271). Klossowski, sempre a commento del frammento postumo 10 [17] dell’autunno 1887:
“Si potrebbe pensare che tale vaticinio [ cioè la predizione degli eventi futuri narrata nel frammento I forti dell’avvenire ] si è confermato più di una volta da allora «al di là di ogni speranza» ma anche qui sono stati i falsi padroni - schiavi inconsapevoli - che, agendo senza saperlo per la gerarchia occulta, l’hanno dispensata da quanto di volgare comporta sempre la sperimentazione: giacché essi perseguono uno scopo e si danno un senso che può far solo ridere gli occulti.” ( NCV [ II ], 218 )
In questo commento Klossowski riprende con grande acume lo humour sulfureo di Nietzsche: i capitalisti, cioè i falsi padroni nonché schiavi inconsapevoli, sono stati talmente zelanti nel loro lavoro ripetuto di massificazione e omogeneizzazione dell’uomo europeo da ottenere un tale capolavoro di livellamento, da esentare i forti dell’avvenire dall’intervenire anche solo per «accelerare» tale processo, che dunque procede alquanto spedito. Ma i capitalisti, poveri travet della coercizione, non si accorgeranno mai di lavorare in modo forsennato per nulla, perché lo scopo ultimo del livellamento non è certo il conseguimento della ricchezza della superclasse dei potenti attuali. Anzi, i forti del futuro se ne fanno beffe: quanto lavoro risparmiato, quanto tempo guadagnato, quanta «volgarità» serbata; e, dall’altro lato, per i capitalisti, quanto zelo di schiavitù «disinteressata», per sé stessi e per gli altri. E’ stato solo necessario, per rendere gregari i capitalisti, far colare davanti a loro il desiderio di ricchezza, potenza, dominio e impunità. Più schiavi degli schiavi ultimi, più atrocemente beffati degli altri beffati dalla storia, più incapaci di rivolta rispetto agli altri dominati, ancor più preda del desiderio degli altri desideranti, più soggiogati dal processo inarrestabile di livellamento degli altri livellati, i capitalisti e gli amministratori stolti dell’ordinamento economico sono coloro i quali il dominio finale dei forti dell’avvenire renderà più disperati e sbigottiti, allorquando realizzeranno l’incubo di esser stati soverchiati da una genìa di scrocconi insolenti che odiano la ricchezza e la virtù borghese. Si dirà: il senso e lo scopo di tutto ciò? Quale senso e quali scopi perseguono i forti dell’avvenire per essere dati come «opposti» a quelli in auge presso l’attuale «gerarchia di potenti»? E’ di nuovo Klossowski a indicare la soluzione dell’enigma nietzscheano:
“Il senso e lo scopo sono quelli che Nietzsche ha previsto a quasi un secolo di distanza, cioè la pianificazione o la gestione planetaria. Le gerarchie operanti al tempo di Nietzsche non ne avevano alcuna nozione, i vaticini nietzscheani si riferiscono a quelle di oggi: mutatis mutandis il rapporto delle gerarchie attuali con le gerarchie occulte rimane uguale. Le prime operano, lavorano, pianificano per il meglio o per il peggio: ma gli occulti, da una generazione all’altra, si riservano di rovesciare, a un dato momento, il «significato» ultimo, ovverossia di trarre le conseguenze da quell’immenso lavoro di «schiavi inconsapevoli», al momento stabilito. Come Nietzsche diceva della Chiesa e della Russia, gli occulti possono attendere” ( NCV [ II ], 218 ).
Ma cosa ne pensa Deleuze di questi «vaticini» nietzscheani e di queste elucubrazioni klossowskiane? Troviamo un’illuminante risposta in una suggestiva variazione dei vaticini profetici del filosofo prussiano in Mille piani, nel piano intitolato 587 a.c. e 70 d.c. su alcuni regimi di segni quando gli autori sovrappongono le fisionomie dei profeti ebraici a quella di Nietzsche. Scrivono infatti Deleuze e Guattari:
“Il profeta non è un prete. Il profeta non sa parlare. Dio gli mette le parole in bocca, manducazione della parola, una nuova forma di semiofagia. All’opposto del divinatore, il profeta non interpreta nulla: ha un delirio d’azione più che un delirio di idea o di immaginazione, ha un rapporto con Dio passionale e autoritario anziché dispotico e significante, svela e previene le potenze del futuro, invece di applicare i poteri presenti e passati”.
(MP, 176-77)
Il Nietzsche-profeta dionisiaco ha dunque, per Deleuze, «un delirio d’azione più che un delirio d’idea o d’immaginazione», non interpreta nulla perché una nuova forma di semiofagia gli mette le parole in bocca, in un nuovo «regime passionale autoritario», nel quale «svela e previene le potenze del futuro, invece di applicare i poteri presenti e passati», esattamente come Nietzsche ha implicitamente indicato nel frammento I forti dell’avvenire del 1887.