martedì 28 maggio 2013

Mario Tronti - Commemorazione di Antonio Maccanico @ Senato della Repubblica, 8 maggio 2013 - XVII Legislatura, 20^ seduta



MARIO TRONTI (PD). 
Signor Presidente, onorevoli colleghi, familiari, é per me un onore parlare della personalità di Antonio Maccanico, anche perché ho avuto il piacere di conoscerlo personalmente proprio qui, in quest’Aula, nella XI legislatura, e di averlo collega nei lavori, richiamati, della Commissione bicamerale De Mita-Iotti. Fu una legislatura breve, quindi l’incontro fu abbastanza fugace, però fu quanto mi bastò per cogliere ed apprezzare il garbo della persona e lo spessore della figura.
Maccanico aveva qui un ruolo molto particolare, e voglio riportarvi un ricordo preciso di quelle giornate passate con lui. In quella legislatura c’erano in quest’Aula due grandi personalità della cultura politica e giuridica, Norberto Bobbio, senatore a vita, e Gianfranco Miglio, personalità discussa, discutibile, intelligenza contraddittoria, ma grande intelligenza, e ricordo molto vivamente, avendo avuto la fortuna di essere presente, i dialoghi sui massimi sistemi che nelle pause dei lavori di Assemblea si svolgevano tra queste grandi personalità. Il ruolo di Maccanico era quello di mediatore quando si verificavano – e vi assicuro si verificavano spesso – questi «scontri di continenti» tra Bobbio e Miglio. Ed era un grande piacere politico e culturale assistere e partecipare a questi dialoghi.
Maccanico non era un totus politicus; come è stato qui ricordato, era un uomo delle istituzioni, prestato alla politica sempre in contingenze critiche e molto peculiari. Quando i problemi si fanno acuti e mancano le soluzioni si fa in genere ricorso a questi uomini, e Maccanico era una di queste riserve della politica e anche dell’intellettualità politica e giuridica italiana.
Il senatore Compagna ha ricordato come Maccanico non aveva grilli di democrazia diretta: amava il Parlamento ed era un uomo del Parlamento, che si è formato dentro il Parlamento e ha praticato questa sua presenza in modo costante.
Si è detto: grand commis. Non userei questa formula, anche perché qui da noi devo riconoscere l’impraticabilità di questo modello francese che vedo di nuovo comparire tra le tentazioni di riforma istituzionale. I nostri politici non hanno dietro una formazione di scuola come l’Ecole Nationale d’Administration (ENA) o come il Polytechnique parigini. Qui da noi carriera da tecnico e carriera da politico sono separate e le personalità che contano, per alternanza, giuocano l’uno e l’altro ruolo in mo- menti diversi.
Maccanico ha fatto questo in modo egregio. Ha lavorato da tecnico vicino alla Presidenza della Repubblica e alla Presidenza della Camera. E` stato ricordato come abbia lasciato la sua impronta sulla Nota aggiuntiva di La Malfa, fondamentale nella storia del nostro Paese. Vorrei altresì ricordare la riforma del 1971 dei Regolamenti parlamentari della Camera, di cui Maccanico è stato grande protagonista.
Maccanico sta poi da politico in Parlamento e sta da politico nel Governo, fino al ricordato tentativo fallito del 1996. Ed è simbolica la sua scomparsa proprio nel momento in cui questo tentativo, in forme tanto peculiari e diverse, in qualche misura si ripropone.
Abbiamo detto grand commis no, ma servitore dello Stato senza dubbio sì. Dovremmo rivalutare questa figura del servitore dello Stato: è una figura un po’ obsoleta, oggi dì sconosciuta, con una patina simpaticamente ottocentesca di impronta liberale e di formazione crociana, fatta di sobrietà, serietà, competenza, volutamente nascosta nelle pieghe delle istituzioni, che è e non appare mai. Una figura da rivalutare proprio oggi, quando siamo abituati ad avere tutto e sempre sulla scena e, poi, vediamo e constatiamo che dietro la scena di molti personaggi, come sotto il vestito, vi è niente.
Le istituzioni sono un corpo molto delicato; vanno maneggiate e accudite con molta cura, altrimenti rischiano di rovinarsi. In questi vent’anni, a furia di riforme istituzionali a pezzettini, a furia di interventi selvaggi sulle leggi elettorali, questo campo istituzionale si é devastato.
Vorrei ricordare uno scritto di Maccanico intitolato «Riforme istituzionali: problemi e prospettive»: è una lectio del 1989-1990 che egli fece ai seminari di studio per funzionari aspiranti al lavoro parlamentare, in cui tirò un po' le somme dell’esperienza del Governo De Mita, giudicandolo come il primo Governo di programma. Uno dei punti programmatici fondamentali erano proprio le riforme istituzionali e il rapporto Governo-Parlamento. E lì lui diceva che in Italia c’è stata una stabilità politica e una instabilità governativa. Quello che abbiamo visto dopo è, invece, una instabilità governativa che si accompagna ad una instabilità politica. E questa è la ragione profonda anche della crisi di oggi.
Maccanico raccomandava, in quella sua lectio, di impiantare il problema delle riforme istituzionali in senso gradualistico, a piccoli passi: questa è una lezione che dovremmo tenere oggi molto presente.
Dicevamo che le istituzioni vanno accuratamente seguite e curate. Maccanico era in fondo un manutentore della macchina statale, un grande manutentore, quelli che conoscono benissimo questa macchina, alla perfezione: sanno come funziona, sanno dove si può trovare un guasto e soprattutto sanno dove mettere le mani nel momento in cui questo guasto va riparato. Ecco, di queste figure oggi avremmo molto bisogno, proprio perché  questo Stato-macchina è qualcosa che va alleggerito nella sua costruzione e nella sua struttura e quindi riformato, come oggi abbiamo appunto intenzione di fare.
Le istituzioni sono questo tramite intermedio tra cittadini e Stato, tra popolo e Governo; indispensabili quindi, perché attraverso di loro passano e devono passare la decisione e la mediazione; sono come un filtro da tenere pulito. Ecco, Maccanico era quello che teneva sempre pulito questo filtro e quindi faceva passare, o almeno aveva l’intenzione di far passare lì dentro, decisione e mediazione. Ma lì dentro passa anche la politica. Quando le istituzioni perdono questa funzione, viene a mancare il loro prestigio e, quando viene a mancare il loro prestigio, si innesca quel distacco che sta all’origine di questa non più sopportabile – credetemi – crisi dell’idea stessa e della pratica stessa della politica. Non la dovremmo più sopportare! (Applausi).
Maccanico era certo un membro della élite. Ma, ecco, le élite sono necessarie, come sono necessarie le masse. E il rapporto tra élite e masse va ricostruito per i tempi nuovi, non va azzerato. Questo è il senso e, nello stesso tempo, il compito della riforma che bisogna attuare. Come si seleziona il ceto politico? Non la sua soppressione, ma la sua selezione è il problema. Come si formano i gruppi dirigenti, le classi dirigenti? C’è bisogno di direzione dei processi altrettanto di come c’è bisogno di partecipazione ai processi di decisione. L’alto e il basso devono ricongiungersi, non devono contrapporsi. C’è da praticare un percorso di ricostruzione difficile, faticoso, ma necessario, una trama mediatrice tra noi che siamo qui e tutto quanto confusamente preme e spinge fuori da qui.
Mi avvio a concludere. La critica sacrosanta di quanto accaduto in questi anni di corruzione, di separazione, di auto-referenzialità e anche di immeritati privilegi del ceto politico va accompagnata ad un riallaccio di continuità tra quanto c’é stato l’altro ieri e quanto può esserci domani. Ecco, questa è la cura, il ponte che dobbiamo approntare, perché dalla saldezza delle istituzioni, malgrado i guasti della politica (le istituzioni tengono oggi, per fortuna, più e meglio della politica), solo da questa saldezza può venire il vero cambiamento.
Bisogna dire che l’interruzione traumatica, la rottamazione del passato, è un fatto regressivo, un fatto conservativo: non cambia, ma conserva e ripete. Da lì, da questi strappi, nella trama della storia non sono mai venute nuove soluzioni: sono sempre venuti vecchi ritorni.
Mi scuso per questo appunto che può sembrare fastidiosamente paternalistico, ma non lo è e non vuole esserlo: approfitto però di questa occasione per farlo. Vorrei dunque dire alle nuove energie che sono entrate nelle istituzioni, anche in questo ramo del Parlamento: ecco, approfittate della permanenza qui, di questa esperienza, per scoprire e apprezzare figure come quella che stiamo commemorando, perché c’è tutto da imparare. Attrezzarsi di una cultura istituzionale è essenziale, è indispensabile per un buon agire pubblico, altrimenti – guardate – si gira come pale al vento, a seconda di come il vento gira: questo è quanto non possiamo permetterci in questo purgatorio antipolitico.
Un’ultima osservazione, signor Presidente: sono in preparazione, da quanto so, per la casa editrice «Il Mulino», due preziosi volumi di diari inediti di Antonio Maccanico riguardanti la sua collaborazione alla Presidenza Pertini. Quando appariranno pubblicamente facciamo in modo di presentarli qui, con gli ottimi funzionari della Biblioteca del Senato, approfittando di quell’evento per riprendere il discorso su Maccanico in modo meno celebrativo, ma entrando più nel merito e nei contenuti della sua persona, perché ne abbiamo bisogno tutti, ne ha bisogno il Paese, ne ha bisogno l’Italia. 
(Applausi. Molte congratulazioni). 


PRESIDENTE. Senatore Tronti, certamente auspichiamo di poter ospitare un evento legato alla pubblicazione dei volumi che ci ha preannunciato. 


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