venerdì 1 novembre 2013

Tiziana Terranova: Dopo il futuro: Dal Futurismo al Cyberpunk (Recensione del libro di Franco Berardi, Derive e Approdi, 2013) @ Carmilla, 07.Oct.2013

Tiziana Terranova: recensione del libro di Franco Berardi (Bifo), Dopo il futuro: Dal Futurismo al Cyberpunk. L’esaurimento della Modernità, DeriveApprodi, Roma 2013, pp. 136, € 14.00
In una delle sue lezioni al Collége de France, Michel Foucault offre questa spiegazione del rapporto tra il sapere dell’intellettuale e la lotta. Non spetta all’intellettuale esortare il popolo alla lotta (‘battetevi contro questo in tale o talaltro modo’), piuttosto quello che il sapere dovrebbe fare è dire, rivolgendosi a coloro che vogliono lottare, ‘se volete lottare, ecco dei punti chiave, delle linee di forza, delle zone di chiusura e di blocco’1.  È chiaro che nonostante il titolo del nuovo libro di Franco Berardi sia carico di parole quale ‘dopo il futuro’ e ‘esaurimento’, esso non può fare a meno o non intende dissuadere dalla lotta, dalla ricreazione del futuro, non è un libro cioè che ci dissuade da quell’atto fondamentale per qualsiasi pratica politica costituente che è credere nel mondo. E tuttavia, da schizoanalista qual è, si tratta di un libro che pone pesantemente l’accento sui blocchi del desiderio e quindi delle lotte, o nei termini del libro, esso pone la centralità della questione della sensibilità, dell’empatia e dell’etica. Si tratta di un libro che pratica l’arte schizoanalitica della diagnosi, mettendo in evidenza tutta una serie di sintomi, culturali e sociali, che mostrano l’evoluzione e l’esaurimento di quella idea di futuro che ha giocato un ruolo fondamentale nei movimenti politici del novecento, e le conseguenze oggi del suo esaurimento.
Il futuro di cui parla Bifo non è ovviamente ‘una dimensione naturale della mente umana’, non è la certezza cioè che qualsiasi cosa faremo, il tempo scorrerà comunque ingrossato da un passato sempre più ingombrante, imbrigliato in un presente limitato, aperto verso l’imprevedibile evento del domani. Il futuro di cui ci parla è una secrezione della soggettività, ha a che fare col modo in cui le soggettività si pongono in relazione al mondo, ed è dunque l’espressione di quei concatenamenti macchinici che investono e formano la soggettività nelle economie e società capitaliste. Il futuro concepito come progresso e cambiamento radicale erompe nel novecento nell’immaginario sociale e culturale come effetto della velocità del mutamento. Le avanguardie italiane e russe ne esprimono due anime e impulsi opposti: la velocità del futuro espresso dall’accellerazione dell’automobile si realizzano nell’esaltazione della guerra e nella repressione del femminile sociale del futurismo italiano (‘il disperato tentativo di non essere femmina’), ma anche nelle pieghe morbide delle avanguardie russe che ‘mettono nel futuro un’enfasi più sfumata, differenziata, ricca’ e lo esprimono in una concezione dell’amore come gioco erotico-poetico. Il general intellect  non è semplicemente un insieme di saperi codificati nella macchina, ma anche espressione di un certo tipo di energia, quella propulsiva della combustione e del motore termodinamico, che attraversa la soggettività moderna spingendola ad immaginare il vettore della velocità come forza distruttiva e creativa allo stesso tempo. La macchina termodinamica è anche una macchina del piacere, e come ci hanno ricordato Luciana Parisi e Klaus Theweleit, essa mobilita e enfatizza una struttura del godimento maschile fatta di scarica entropica e  malinconico ritorno all’ordine2.
L’esaurimento di questo futuro è il leitmotiv della seconda metà del libro, quella dove Bifo si occupa più strettamente del momento presente. La mutazione antropologica registrata segue le trasformazioni del capitale che ha ridisegnato il suo sistema produttivo sulle linee indotte da un nuovo tipo di macchina, comunicativa, informatica e cibernetica. Dopo aver attraversato i movimenti dada e surrealisti, ed essersi soffermato sulla funzione della pubblicità (concendendo a Pasolini un tardo riconoscimento per aver ‘presentito molto dell’epoca barbarica, che, ora sappiamo, era il futuro’), la tesi principale del libro sulla contemporaneità si sviluppa sulle linee di una distinzione tra cyberspazio e cybertempo. La strategia del capitale, immobilizzato dal compromesso keynesiano che pone dei limiti alla sua tendenza all’accumulazione,  minacciato dalla tendenza alla fuga e al sabotaggio della classe operaia industriale, sceglie di deterritorializzare globalmente il flusso di lavoro vivo riorganizzando il suo comando attraverso la topologia della rete o cyberspazio. Il lavoro è ulteriormete astratto dalla concretezza dei luoghi e dei tempi della soggettività incarnata, e trasformato in un flusso deterritorializzato, frammentato e discontinuo di prestazioni infinitamente espandibili.  Questo meccanismo è frattale, si ripete a diverse scale dell’organizzazione del lavoro: è nel crowdsourcing del turco di Amazon (Amazon Turk che distribuisce automaticamente segmenti di lavoro secondo un meccanismo di aste), nelle fabbriche cinesi dove si producono gadget tecnologici, la cui velocità è scandita dall’uscita di nuovi prodotti e campagne pubblicitarie, attraversa la vita del lavoro precario e cellulare-munito fino al comunicatore compulsivo sui social media disponibile a rendere commerciabile ogni secondo delle sue interazioni sociali. Bifo sembra credere dunque che nella rete cibernetica, la vera nuova fabbrica globale, il capitale esercita il comando e il lavoro perde ogni autonomia reale.
Gli effetti di questa mutazione sulla soggettività sono per Bifo devastanti. L’energia mobilizzata non è più quella muscolare e termodinamica dell’organismo, ma quella nervosa del cervello e del sistema nervoso. Il capitalismo informatizzato non si limita ad organizzare lo spazio, ma interviene direttamente sul tempo che è la materia costitutiva della soggettività. Il cybertempo segue le velocità ultrarapide delle reti di microprocessori, e la soggettività è attaccata nelle sue fibre più sensibili, la sua autonomia svuotata dalla velocità compulsiva e frammentata del cybertempo. Si diffondono patologie quali ansia, attacchi di panico, depressione, alcuni scelgono il suicido o l’omicidio. Il tempo viene frazionato e l’anima messa al lavoro e quindi spogliata della sua autonomia. Se i padroni di oggi possono permettersi di ripetere con insistenza che non c’è alternativa ed essere creduti, è perché il cybertempo ha già consumato le capacità delle anime di immaginare un altro futuro, ingoiate dal parassita digitale che decompone il tempo esistenziale in serie infinite di micro-prestazioni sotto la pressione di una competitività precaria che previene ogni possibilità di reale contatto tra i corpi. Il futuro è esaurito dalla frammentazione del tempo in attimi presenti privi di qualsiasi virtualità buoni solo ad essere campionati dalla macchina digitale. Questa peculiare relazione col tempo è espressa  compiutamente dalle reti del capitalismo finanziario, che avendo perso ogni riferimento a un referente stabile, processano il tempo introducendo un insostenibile regime di aleatroietà di valori fluttanti, rendendo la precarietà ‘la forma generale del rapporto socialÈ. A livello soggettivo, cioè in termini di quelle trasformazioni dell’empatia, etica e sensibilità che il libro pone, l’esaurimento del futuro si esprime in quella incapacità di credere in un ‘dopo’ lo stato di cose attuale, al punto tale, come sottolineato da Mark Fisher, che è diventato più facile credere alla fine del mondo che a quella del capitalismo3.
Le tesi di Bifo si affiancano a quelle che al momento sono una serie di riflessioni, scritti e studi sulla mutazione antropologica introdotta dalla popolarità di quelle che Giorgio Griziotti, con buone ragioni, definisce i media bio-iperdigitali4. Social networks e smart phones costituiscono una potente accoppiata che ha portato ad una inedita e ambivalente informatizzazione della vita sociale. Dal punto di vista di Bifo, il cybertempo, con Facebook e Twitter, ma anche YouTube, Google, Whatsapp e simili, ha colonizzato anche quello che una volta si definiva ‘tempo libero’, insinuandosi nel tessuto delle amicizie e conoscenze, rimodulando profondamente i rapporti sessuali e affettivi. Sherry Turkle, nelle sue etnografie di adolescenti e adulti della affluente middle class americana, racconta di un crescente senso di ‘insieme, ma soli’, dell’interruzione costante del contatto tra le generazioni ad opera dell’invasività dei social network e degli smart phones, di una generazione condannata a comunicare incessantemente5. In Dopo il futuro, gli adolescenti americani di Elephant che si recano a scuola armati fino ai denti e fanno strage di coetanei, e i giovani giapponesi, che vivono in totale isolamento, esprimono la soggettività dei nativi digitali. Il resoconto offerto da Jodi Dean della sua esperienza di blogger complessivamente condanna l’incessante flusso comunicativo della rete in quanto carburante del capitalismo comunicativo, che al modico prezzo delle piccole ‘pepite di godimento’ (adrenalina) rappresentati da notifiche e nuovi messaggi, si appropria della nostra energia libidinale, esaurendo le nostre capacità di resistenza, e ne fa commercio6. Bernard Stiegler è meno perentorio vedendo nei social networks la possibilità di nuove forme autonome di transindividuazione, o creazione di identità sociali, più promettenti rispetto a quelle offerte dalla televisione, ma che richiedono perlomeno l’elaborazione di nuove piattaforme (come sottolineato da Geert Lovink)7.  Si tratta in generale di elaborazioni poco simpatetiche nei confronti di social networks e smart phones che relegano eventi quali le rivoluzioni arabe, e le rivolte turche e brasiliane, o il 15M spagnolo all’eccezionalità di un uso contingente. In altre parole, per ogni rivolta, migliaia di individui che caricano foto di sé stessi e delle proprie vacanze o si scambiano indignazioni senza sbocco. E per altri, come Paolo Gerbaudo, non si dà rivolta organizzata attraverso i media sociali senza capacità di ritrovare l’Uno, unità del popolo e/o della nazione, al di là della frammentazione delle reti8.
Ma se il libro di Bifo è un’esercizio diagnostico eseguito nel tentativo di riaprire gli spazi di azione politica, di sovvertire cioè quell’immutabile ‘non c’è alternativa’ al capitale, qual è la cura? Il merito dell’analisi di Bifo è ovviamente quello di costruire una alternativa schizoanalitica alla cornice psicoanalitica che vedrebbe nell’impotenza delle soggettività digitali e iperconnesse il segno di una perdita dell’autorità (simbolico o significante padrone in grado di organizzare il gioco dei segni). Non abbiamo bisogno di nuovi padri-partiti, ma di pratiche sperimentali capaci di sovvertire il ritmo della socializzazione digitale, al momento quasi addomesticata. La cura di Bifo potrà sembrare a molti come veramente poca cosa rispetto alla potenza materiale dell’immaginario tecnologico che circola nella comunicazione sociale di massa di Facebook e co. Bifo propone di riscoprire e ricostituire la potenza della poesia, come nel suo bel ‘Manifesto del dopo-futurismo’ che chiude il libro. Ma come può darsi atto poetico, atto che rinnova la fede nel mondo e nelle sue possibilità di cambiamento, che ristabilisce la congiunzione dei corpi contro la sterile connessione informativa e che è capace di agire effettivamente in una circolazione di informazioni continua in cui perfino la poesia diventa un new media object come un altro, una frase da condividere, magari insieme ad una immagine? In che modo e con quale potenza la poesia può entrare in questi circuiti dove, ci piaccia o meno, gli individui continuamente si esprimono socialmente, cioè esprimono e condividono con altri stati d’animo, idee, affetti, notizie ed emozioni? Quando la poesia stessa diventa un link, un frammento da condividere, invece che un’epifania rivelatoria capace di risvegliare la potenza dell’evento?
Forse il problema della schizoanalisi di Bifo sta proprio in un certo riduzionismo che coinvolge la sua lettura del rapporto tra corpo, anima, e macchina. Bifo dà l’impressione infatti di intendere questo rapporto come uno in cui la sussunzione della forza lavoro alla macchina non è solo reale, è totale. Questa lettura è data chiaramente nelle prime pagine del libro, quando Bifo sostiene che per aumentare il plusvalore relativo, cioè la ricchezza estorta dal lavoro, il capitale tende essenzialmente ad accellerare. Questa accellerazione per lui non rilascia nessuna eccedenza negli individui, solo stress e tristezza. In altre parole, sembra quasi che la rete cibernetica manchi di una caratteristica fondamentale delle reti, cioè di buchi. Quando Deleuze nella società del controllo parla delle nuove tecniche che funzionano come ‘setacci a maglia variabile’, non poteva non avere in mente le sue riflessioni sul barocco di Leibniz9. È in questo libro che aveva trattato del setaccio o maglia, che non è altro che una sintesi, mai completamente esaurita, dell’infinitesimale. La rete non può diventare l’universo chiuso di The Matrix perché è per sua natura, fatta di fori. La rete si istituisce a partire da un certo rapporto con il flusso della materia (fisica, biologica, sociale, economica, culturale) che non è di tipo rappresentativo, ma selettivo e sintetico. La rete seleziona, non esaurisce, il flusso della materia sociale e delle forze psichiche. Le seleziona, le sintetizza, le codifica e gli dà è vero un certo ritmo, ma per continuare ad esistere deve continuamente relazionarsi a un fuori che le rimane in eccesso.
Insomma a me sembra che la forza della soggettività, forza di credere e desiderare come diceva Tarde, forza di coordinarsi e cooperare, come nell’interpretazione postoperaista, sia necessariamente eccedente la capacità della rete di configurarla. Per questo essa, qui e là, periodicamente o improvvisamente, non cessa di sollevarsi e di sconvolgere i parametri e i protocolli che l’oligopolio bio-ipermediatico (Apple, Google, Facebook, Twitter, Amazon, etc) ha sovrapposto alla rete distribuita che Internet originariamente è.  Proprio perché la rete ‘pesca’ nella variazione dell’infinitesimale, d’altro canto, essa non può essere ridotta ad arma di guerra di classe condotta a colpi di cybertempo, perché il cybertempo stesso pone continuamente il problema di ciò che gli sfugge, del ‘cigno nero’, dell’evento che non riesce a prevedere, della singolarità incontrollabile. Non a caso ricerche recenti su algoritmi, protocolli e parametri (i mezzi attraverso cui il cybertempo è organizzato) continuano a porre il problema dell’incomputabile e dell’automatismo fuori controllo10.
Non è sufficiente comunque affermare, con un colpo di mano teorico, che la rete non può che essere forata e che se l’organismo, con i suoi delicati equilibri, ne resta impigliato e sconvolto, la relazione sociale continua ad eccederla e nutrirla. Bisogna in qualche modo dimostrarlo e questa dimostrazione non può essere neanche soltanto banalmente empirica, cioè una esposizione dei casi in cui la rete ha agito diversamente da come i colossi dell’economia digitale vorrebbero. In un certo senso, il valore maggiore di questo libro forse consiste proprio nel suo incitare il lettore, come l’uditore dei corsi di Foucault, a capire dove la sua volontà di ribellarsi e di lottare va indirizzata. È infatti vero che al momento questa volontà, parzialmente catturata dal cybertempo e cyberspazio, sembra esaurirsi in quella che Pierre Macherey nel suo Il soggetto produttivo ha definito una specie di ‘carattere incompiuto’ dell’azione spontanea, alle sue ‘resistenze sparse, in movimento, non meditate e coordinate dall’inizio’11. La formazione di reti automome e auto-organizzate in grado di produrre la fine del capitalismo e una nuova era ispirati da concetti come comune, cooperazione, singolarità non può non confrontarsi col nodo chiave della sensibilità, dell’empatia, dell’etica e quindi anche del tempo e delle sue mutazioni.
 

  1. Michel Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France (1977-1978), Feltrinelli, Milano 2005, p. 15. 
  2. Cf. Luciana Parisi, Abstract Sex. Philosophy, Biotechnology and the Mutations of Desire, Continuum, London e New York 2004; e Klaus Theweleit,  Fantasie virili. Donne, flussi, corpi, storia, Il Saggiatore, Milano 1997. 
  3. Cf. Mark Fisher, Capitalist Realism: Is There No Alternative? Zero Books, 2009. 
  4. Cf. Giorgio Griziotti, Capitalismo digitale e bioproduzione cognitiva: l’esile linea fra controllo, captazione ed opportunità d’autonomia, UniNomade 2.0 2011 (qui). 
  5. Cf. Sherry Turkle, Insieme, ma soli. Perché ci aspettiamo sempre di più dalla tecnologia e sempre meno dagli altri Codice, Torino 2012. 
  6. Cf. Jodi Dean, Blog Theory: Feedback and Capture in the Circuits of Drive, Polity Press, Cambridge and Oxford 2010. 
  7. Cf. Geert Lovink, “A World Beyond Facebook: Introduction to the Unlike Us Reader” e Bernard Stiegler ‘The Most Precious Good in the Era of Social Technologies’’ in Unlike Us Reader: Social Media Monopolies and Their Alternatives, a cura di Geert Lovink e Miriam Rasch, Institute of Network Cultures, Amsterdam 2013. 
  8. Paolo Gerbaudo, Tweets and the Streets. Social Media and Contemporary Activism, Pluto Press, London 2012. 
  9. Cf. Gilles Deleuze, ‘La società del controllo’ (qui); e La piega. Leibniz e il barocco, Einaudi, Torino 2004. 
  10. Cf. Jussi Parikka e Tony D. Sampson, The Spam Book: On Viruses, Porn and Other Anomalies From the Dark Side of Digital Culture, Hampton Press, NJ 2009; Luciana Parisi, Contagious Architecture. Computation, Aesthetics and Space, The MIT Press, Boston, Mass. 2013. 
  11. Cf. Pierre Macherey, Il soggetto produttivo. Da Foucault a Marx, Postfazione di Antonio Negri e Judith Revel, Ombre Corte, Verona 2013, p. 61.

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