venerdì 8 febbraio 2013

Mario Tronti: Ora la sfida è sulle idee @ Unità, 30 dicembre 2012


Mario Tronti: Ora la sfida è sulle idee
@ Unità, 30 dicembre 2012

Adesso la partita si fa interessante. Vale la pena di giocarla: ciascuno mettendo in gioco se stesso, sul piano strettamente elettorale, su quello generalmente politico, su quello specificamente culturale. Un tempo veramente si chiude. Malgrado il Cavaliere sia in campo, il suo cavallo è con tutta evidenza azzoppato.

Altri protagonisti occupano la scena. Se servono per buttare alle spalle, insieme, berlusconismo e antiberlusconismo, ben vengano. A me piace l'espressione «salire in politica». Dell'invito a considerare la politica un livello alto dell'agire umano, c'è oggi urgente necessità. Se n'è accorto perfino, pro domo sua, il Vaticano. Ma c'è un'altra espressione felice del Monti politique d'abord, che è stata meno commentata: «non ci si aggrega intorno alle persone, ma intorno alle idee». Bene, viene da rispondere. Solo che andrebbe rilevata la patente contraddizione con l'eventuale suo nome sulle liste elettorali. No, professore, non si può così nobilmente salire in politica e poi così banalmente scendere in campo. E tuttavia l'attuale forza tranquilla Pd-Sel non solo non ha da preoccuparsi, ha, direi, da rallegrarsi. Se il confronto politico fa un salto di livello, la politica può riprendere quota. Il discorso pubblico ha bisogno di un ritorno alla crescita, equa e sostenibile, almeno quanto il meccanismo economico. I problemi premono. E le soluzioni ai problemi non coincidono. Ci sono ricette diverse per uscire sia dalla crisi economica che dalla crisi politica. Misurarsi sui contenuti delle proposte di cambiamento è la vera novità da introdurre e che finalmente si può introdurre. Vecchia musica invece - praticamente la colonna sonora che ha accompagnato il film della seconda Repubblica, e il racconto ideologico del trentennio neoliberista - è ripetere che gli innovatori stanno nel centro-destra e i conservatori nel centro-sinistra. I tecnici competenti non ci vengano a dire sottovoce le stesse cose che i politici improvvisatori gridavano sui tetti. Così, non ci intendiamo. E un'intesa sul metodo del discorso è la premessa per un confronto sul contenuto. La vera Agenda Monti che conosciamo è quella di un anno di governo. Quella che leggiamo sul web non è proprio la stessa cosa, anche perché somiglia molto a un programma elettorale. Non c'è difficoltà a discuterne. L'incontro d'anime Monti-Ichino è un passaggio di illuminante chiarezza. Andiamo verso una disposizione degli schieramenti, verrebbe da dire, politicamente corretta, con le persone giuste al posto giusto. Un provvisorio schema tripolare è l'unico che può mandare in soffitta il cattivo bipolarismo della seconda Repubblica. Una destra populista e lideristica, un robusto centro dei moderni moderati, una solida forza democratico-riformista. Queste due ultime formazioni hanno un transitorio compito comune: quello di asciugare, fino a renderle marginali, le pulsioni antipolitiche, che vivono e vegetano, prima che nella testa del ceto politico, nella pancia del Paese reale. Ci vuole, in una legislatura saggiamente costituente, un'educazione civica alla buona politica, fatta non di prediche morali, ma di esemplarità viventi, nei comportamenti, negli atti, nei pensieri, delle persone. Questo sfondo strategico potrebbe giustificare, al di sopra delle contingenti scelte di governo, una, appunto, transitoria intesa. Compromesso e conflitto, a differenza di quanto comunemente si pensa, non sono del tutto alternativi. Possono convivere nel tempo, e nel tempo disporsi in sequenza. Forse oggi comincia a diventare possibile quello che per un troppo lungo periodo, qui da noi, è apparso solo necessario: una competizione «europea» tra lo schieramento dei popolari e lo schieramento dei democratici. Nessuna paura. Anzi, l'accettazione di una sfida. Un soggetto politico mostra al mondo la sua maturità quando sa disporsi come forza di governo e come risorsa di sistema. Non sto scantonando dai problemi più urgenti. Il prossimo governo, politico, sarà obbligato a mettere al centro la questione sociale, che vuol dire un programma di giusta riconsiderazione della distribuzione tra redditi e tra poteri. Qui si segnerà la discontinuità con la compagine dei professori e delle professoresse. La crisi economico-finanziaria ha, per suo conto, fatto vedere il problema. Anche se la sua presenza è di più lunga durata, come ha bene e più volte argomentato Alfredo Reichlin. E qui, il riformismo è di centro-sinistra e il conservatorismo di centro-destra. Ma, se mi è permesso, vorrei, con un passo a lato, consigliare, mentre si pensa al governo, di pensare al partito. Una cosa si è capita, dall'esperienza di questi anni e decenni: per un governo più forte ci vuole un partito più grande. Molta della debolezza dei passati governi di centro-sinistra stava nel fatto che una vasta coalizione non aveva dietro un grande partito. Adesso le condizioni sono diverse. Ma vanno consolidate. È da imparare la guida che spinge contemporaneamente, alternativamente, sui due pedali, governo e partito, per tenere sotto controllo velocità e sicurezza del percorso. C'è un ritardo. Sarebbe stato opportuno arrivare al governo, avendo già risolta l'unità della sinistra dentro il Pd. Ci sarebbero state meno difficoltà per le alleanze, prossime, agitate oggi in modo insidioso, da chi ha interesse a indebolire il partito di maggioranza relativa, avvicinandolo al liberismo, allontanandolo dal riformismo. Le primarie sono uno strumento richiesto dalle contingenze e opportunamente accolte: per il candidato premier, dal residuo di un bipolarismo personalizzato; per i candidati al Parlamento, dalla permanenza del Porcellum. Due cose che vanno presto cancellate. Ma non si presuma di supplire in permanenza con questo solo strumento alla forma organizzata della politica. Occorre che il partito si rilegittimi - non ho difficoltà a usare l'espressione - come moderno Principe. Al tempo della politica personalizzata, il partito è la persona collettiva che decide: in grado di selezionare, attraverso il consenso attivo dei militanti e degli iscritti, i suoi gruppi dirigenti, comprese rappresentanza parlamentare e leadership nazionale; in grado di ascoltare il Paese, ma anche di parlare al Paese, non inseguendo l'opinione, ma orientandola, con un progetto di trasformazione delle cose, mobilitante, affascinante, che se dovessi definirlo in due parole, sceglierei: realistico e visionario. E capace di farsi riconoscere questa autorità autonoma, di parola e di azione, a livello di popolo.

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