venerdì 16 maggio 2014

Febbraio 2013. Nascita del populismo digitale. Masse, potere e postdemocrazia nel XXI secolo by Obsolete Capitalism


Febbraio 2013. Nascita del populismo digitale.

Masse, potere e postdemocrazia nel XXI secolo
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“L’atmosfera stessa di Torre di Venere era inquinata:
sovraeccitazione, irritabilità, umor agro, appesantivano
l’aria sin dal principio; e il collasso, da ultimo, avvenne
con il terribile mago Cipolla, che in modo fatale, ma
umanamente molto impressionante, sembrò dare corpo,
saturandoli minacciosamente, agli umori
maligni dell’ambiente” (Thomas Mann)

“Il fascismo non fu tenuto a balia da una dottrina
elaborata in precedenza, a tavolino:
nacque da un bisogno di azione e fu azione;
non fu partito, ma, nei primi due anni,
antipartito e movimento(Benito Mussolini)

                                                           


Introduzione: Nascita del populismo digitale


La deflagrazione del populismo digitale
Il 24 e 25 febbraio 2013 si sono svolte in Italia le elezioni della XVII Legislatura della Repubblica Italiana. Il risultato elettorale è stato definito da più osservatori politici come un terremoto imprevedibile. Per la prima volta nella storia della politica del mondo occidentale una nuova formazione, il Movimento 5 Stelle, auto definitasi non-partito, si è presentata ad una competizione elettorale nazionale, vincendola, seppur di stretta misura, diventando con il 25,5% dei voti il primo partito italiano nella Camera dei Deputati. Sebbene il conteggio dei voti totali, comprensivo degli italiani all’estero, abbia assegnato il primo posto al Partito Democratico (PD) per soli 150.000 voti e il sistema elettorale abbia attribuito un consistente premio alla coalizione di centro-sinistra, il neonato movimento guidato da Beppe Grillo ha ottenuto una tale affermazione simbolica che il panorama politico italiano ne è uscito profondamente sconvolto. Il nucleo della marcata innovazione di prassi politica introdotta dal Movimento 5 Stelle è stato l’utilizzo massiccio dei canali comunicativi di Internet e dei New Media. Tale scelta, unita alla brutale semplificazione del messaggio politico utilizzato per catturare consenso, ci ha portato a definire il non-partito di Grillo come una nuova forma di populismo digitale. E’ del tutto evidente che una nuova fase politica ha bussato con violenza alle porte della società italiana, ponendo con inusitata velocità quesiti inquietanti a problemi reali.


L’inizio di una “big data era” nello scenario politico occidentale
Le prime analisi mainstream comparse nel febbraio 2013 relative all’esplosione del fenomeno M5S non ci avevano soddisfatto. Le accuse veementi di populismo rivolte al nonpartito di Grillo da parte, soprattutto, del centro-sinistra e dell’Intelligencija, ci parevano cogliere solo parzialmente la portata “storica” del successo del M5S, collegandola in modo frettoloso alla fragilità acclarata del quadro politico e istituzionale vigente e all’incessante opera di decostruzione della società italiana da parte del colosso mediatico-autoritario berlusconiano. La prima analisi innovativa, militante ed aspramente polemica del fenomeno M5S, fu pubblicata l’8 marzo 2013, a ridosso del risultato elettorale, dal collettivo di scrittori Wu Ming con il titolo “Grillismo: Yet Another Right-Wing Cult coming from Italy”. La lettura di questo pamphlet anti-M5S è stata da noi utilizzata come base di partenza per una più cospicua analisi non lineare, utilizzando autori assai diversi tra loro quali Antonio Gramsci, Mario Tronti, Wilhelm Reich, Michel Foucault, Gilles Deleuze, Fèlix Guattari, Gabriel Tarde, i quali avevano già analizzato la compenetrazione sistemica di fascismo, comportamento irrazionale di massa, ipnotismo collettivo, identità nazionale e capitalismo, coniugandoli con i concetti, quanto mai densi e controversi, di popolo, crisi, organizzazione, data science e società di controllo. A nostro avviso, anche nelle migliori analisi post-febbraio 2013 sul M5S, permaneva sempre un “margine”, un “resto”, un “inespresso”, che richiedeva un supplemento d’indagine; erano necessari sguardi che fornissero intuizioni sul fenomeno nascente del populismo digitale e sul futuristico sistema post-democratico che sembrava apparire all’orizzonte della nuova “big data era”. Di fronte a noi si stagliava comunque la domanda inquietante: se lo tsunami elettorale è riuscito ad un’improbabile techno-coppia di ‘cool operators’ italiani, quali sarebbero gli effettivi esiti democratici se scendessero in campo, nelle competizioni elettorali occidentali, i campioni della Society of the Query come Google oppure i giganti social del web come Facebook o Twitter? Siamo forse all’inizio di un cambio epocale della politica governamentale e, in ultima analisi, della democrazia rappresentativa come l’abbiamo conosciuta fino da oggi? Il populismo è un fenomeno saldamente europeo, sia nella sua versione analogica, sia nella sua versione digitale, con una english version, l’UKIP, estremamente seducente e, per questo motivo, non meno pericolosa di altre formazioni anti-establishment di destra. Abbiamo dunque formulato a intellettuali italiani e anglosassoni - di varia estrazione politica e differenti competenze disciplinari - sei domande riguardanti alcuni punti fondanti della nascita del populismo digitale e delle relazioni esistenti tra masse, potere e post-democrazia agli albori del XXI secolo. Ciò che leggerete in questo libro è il risultato delle nove interviste rilasciate tra maggio 2013 e febbraio 2014 da Luciana Parisi, Tiziana Terranova, Lapo Berti, Simon Choat, Paolo Godani, Saul Newman, Jussi Parikka, Tony D. Sampson e Alberto Toscano.


Prima parte: il Populismo Analogico di Beppe Grillo


I due lati della cosmologia pentastellata: populismo analogico e populismo digitale
Com’è noto, il cosmo pentastellato presenta un interessante nucleo a doppio asse. Beppe Grillo e Gianroberto Casaleggio. La coppia costituisce, de facto, una novità nel popolato e gaudente mondo della politica italiana. Un duumvirato è di per sè un “fatto” rilevante nell’ambito dell’organizzazione politica e nel mondo della leadership. E’ però altrettanto degna di nota la divisione dei campi d’intervento dei due leader M5S: Beppe Grillo è il cowboy d’interfaccia tra il mondo fisico degli elettori e il mondo digitale del magus dei dark data, Gianroberto Casaleggio, artefice, viceversa, dell’estrazione, elaborazione, gestione e stoccaggio della massa di dati provenienti dal sistema algoritmico-computazionale che governa il world wide web. Il lato di populismo tradizionale, identificabile con i tratti dell’ex-comico Beppe Grillo, lo definiremo populismo analogico, mentre la dark side del populismo pensato e organizzato da Gianroberto Casaleggio secondo le logiche delle culture di rete, lo definiremo populismo digitale. Tale populismo digitale -  e qui sta la novità del M5S - non ricalca, se non in minima parte, gli stilemi politici europei dei vari Piratenpartei, ovvero di neonati partiti che sono espressioni idealizzanti delle culture e delle pratiche della Rete. Il M5S è un movimento che si caratterizza per un approccio alla Rete che strumentalizza la Rete stessa e il mondo digitale, per raggiungere il potere e piegare la società italiana ai propri fini autoritari.  Quella tra populismo analogico e populismo digitale è una miscela quanto mai efficace e lungimirante. Fin dai primi passi del M5S Casaleggio ha compreso che la maggiore capacità teoretica e scientifica del populismo digitale ha poca efficacia se non è corroborata e sostenuta dalla maggiore dinamicità e dal più funzionale impatto che il populismo analogico intrattiene con il Reale. Vale a dire che il mondo computazionale necessita della viseità dell’apparato di cattura del populismo analogico perchè gli fornisce lo switch, l’interruttore/commutatore che trasforma, orienta e poi organizza l’input dei metadata grezzi convogliandoli verso l’output nel mondo fisico. Il volto di Grillo costituisce lo schermo di cui l’algoritmo ha bisogno per rimbalzare nel tangibile. M5S come political device: Input/Casaleggio, Output/Grillo.


Il nuovo prestidigitatore: virtuoso ambulante e artista del divertimento
Ma chi è Beppe Grillo? Giuseppe Piero Grillo, detto Beppe, ragioniere, nato nel comune di Genova 66 anni orsono (1948), antipartitista e movimentista, è il genio permaloso e irritabile del nonpartito Movimento 5 Stelle. Beppe Grillo, dopo il successo ottenuto alle elezioni politiche del febbraio 2013,  è il nuovo prestigiatore/prestidigitatore della politica nazionale e della società italiana. Thomas Mann ne aveva anticipato clamorosamente i tratti nel suo racconto breve del 1930,  Mario und der Zauberer, dove nella figura gaglioffa dello Zauberer, il mago, risiedeva il Cavalier Cipolla, “un virtuoso ambulante, un artista del divertimento, forzatore, illusionista e prestigiatore”.  Sebbene il testo breve manniano presenti una chiara allegoria della figura istrionica di Benito Mussolini, l’avatar spettacolare del Mago Cipolla riassume in sè i tratti caratteristici dell’ipnotizzatore di masse nell’era del consenso. Infatti, i tratti salienti dello Zauberer si possono trovare indifferentemente in Benito Mussolini, Silvio Berlusconi e Beppe Grillo anche se solo in quest’ultimo si sublimano al più alto livello. Soffermiamoci brevemente su due aspetti salienti del testo manniano.


Il ciarlatano eterno
“Forse in Italia, più che altrove, è ancora vivo il secolo decimottavo, e con lui il tipo del ciarlatano, del buffo chiacchierone così caratteristico di quell’epoca: tale personaggio è dato oggi incontrare solamente in Italia, in esemplari abbastanza bene conservati. Nel suo complesso, Cipolla aveva molto di quella storica razza, e l’impressione di buffoneria fantastica e reclamistica inerente a quell’immagine fu richiamata  (...)”. Il primo aspetto della figura di Grillo su cui vorremmo fissare lo sguardo è l’inquadramento storico che Thomas Mann effettua del clichè figurativo del Cavalier Cipolla. Il mago da palcoscenico dell’epoca del consenso massificato non è che il diretto discendente del fenomeno ambulante e popolare del cerretanesimo, già colto nel suo spirito imbonitore da Niccolò Machiavelli: “Un certo cerretano, De’ quali ogni dì molti ci si vede, Promise al padre suo renderlo sano. Ma, come avvien, che sempre mai si crede, A chi promette bene...”. Di questa virtuosità di carnevale rovesciato e di pretenziosità mal dispiegata hanno reso conto sia Alberto Toscano, vedendo in Grillo le gesta del celebre personaggio Braggadocio, sia Saul Newman, ipotizzando la vivace spettacolarità del rauco giullare genovese simile al Papa dei folli,  il turpe Quasimodo di Victor Hugo.


Il grottesco di massa e il lirismo fascista
Il secondo aspetto che ci preme analizzare, seppur brevemente, è quello del contesto sociale e culturale entro il quale s’iscrive l’azione del mago ipnotizzatore. György Lukács ha correttamente sottolineato la novità del potente scenario disegnato da Thomas Mann in Mario und der Zauberer dove s’intrecciano psicologia delle masse, carisma minaccioso, suggestioni ipnotiche e atmosfere sociali elettriche inquinate da mitologie nazionalistiche. Il penetrante potere del mago Cipolla richiama il potere d’affezione di comportamenti grotteschi e incontrollabili che provocano nelle masse manifestazioni di soggiogamento al limite dell’isterico o dell’animalesco. La specificità della narrazione di Mann del paesaggio italiano degli anni ’20, sta nell’esaltare le dinamiche psicologiche collettive di sudditanza e di acrasia, piuttosto che le caratteristiche storico-militari del fascismo quali, ad esempio, la deterrenza di squadre d’azione e fasci di combattimento. Mann non ha inoltre ritenuto necessario mettere in evidenza, nell’atmosfera già liricamente fascista, l’intreccio economico e classista di reazione delle classi proprietarie agrarie, capitaliste e borghesi contro la marea rivoluzionaria tanto cara al pensiero gramsciano-togliattiano. La danza finale, delirante e oscena, che Cipolla fa eseguire agli spettatori mesmerizzati, mostra come i comportamenti disturbati e spasmodici della folla gaudente siano frutto di una volontà di imposizione e privazione che agisce sull’ipnosi, sull’imitazione e sull’intrattenimento ludico-grottesco.


Microsociologia: il contagio balistico e le catatonie diffuse
Omaggio a Gabriel Tarde (1843-1904). Così si apre il capitolo sulla microsociologia di Gabriel Tarde all’interno di 1933. Micro-politica e segmentarietà di Deleuze-Guattari, testo di riferimento della presente collezione di  interviste. Gabriel Tarde è il sociologo francese  che, sul finire del XIX secolo, costruisce un’audace sociologia basata sui micro-rapporti e sul potere di contagio e diffusione delle influenze quotidiane che avvengono a livello infra-sociale. L’accento tardiano è posto sugli atti individuali e sull’imitazione come “fenomeno di contagio della credenza e del desiderio”, definibile altrimenti come “fenomeno di trasmissione non logica e non teleologica di due forze intime”. Pertanto l’obbedienza delle folle concepita come processo perpetuo non avviene più sui grandi segmenti macro, come ad esempio le classi, ma a sub-livelli cerebrali “infinitamente delicati”. Per Tarde la sociologia deve affondare “le sue radici nel cuore della psicologia, della fisiologia più intima e oscura. La società è imitazione e l’imitazione è una specie di sonnambulismo”. Ciò che le forze bruno-nere hanno compreso e sfruttato con successo agli albori della società di massa è proprio questa lettura del sociale a livello molecolare. I partiti autoritari di massa hanno tradotto in prassi quotidiana l’occupazione di ogni anfratto sociale, di ogni “buco nero”, così come ben descritto da Deleuze-Guattari nel capitolo sul microfascismo, recuperando proprio l’analisi sociologica di Gabriel Tarde: “Fascismo di banda, di gang, di setta, di famiglia, di villaggio, di quartiere, d’automobile, un Fascismo che non risparmia nessuno. Soltanto il micro-Fascismo può fornire una risposta alla domanda globale: “Perchè il desiderio desidera la propria repressione? Come può desiderare la propria repressione?”.


Dalla segmentarietà primitiva alla concitazione sfrenata e impulsiva
I desideri delle masse, dunque, possono essere indiscutibilmente progressivi - migliori condizioni di vita, tendenze “naturali” verso un progresso infinito della società, ratio illuminata delle scelte e delle pratiche sociali - e, allo stesso tempo, regressivi - involuzione sociale, divisioni atroci tra segmenti rigidi, odii e rancori accumulati nel tempo e pronti a deflagrare con estrema violenza. Il ritardo del pensiero “critico” nei confronti delle analisi micro-sociologiche di Gabriel Tarde è stato colmato dall’analisi di Gilles Deleuze, prima in Differenza e Ripetizione (1969) poi in Mille Piani (1980). La disamina approfondita del pensiero di Gabriel Tarde avviene solo all’inizio del XXI secolo da parte dei più lungimiranti circoli deleuziani parigini - da Alliez a Lazzarato - che s’incaricano di curare in Francia la nuova pubblicazione dell’opera omnia tardiana offrendo spazi di studio, non solo accademici, per approfondire i suoi scritti, collegandoli in maniera critica agli sviluppi odierni del sistema economico-finanziario globalizzato. La geometria “primitiva” disegnata dallo spazio politico omogeneo greco e dalla cultura marxista basata sulla segmentarietà rigida della società divisa in classi viene oggettivamente completata e problematizzata dall’analisi molecolare di Tarde. L’asse di rotazione da analisi macro ad analisi micro, sebbene l’una non escluda l’altra, comporta un cambio di paradigma culturale che le forze attuali del pensiero sistemico-digitale stanno sfruttando con grande fantasia e determinazione. In breve, così come affermano Deleuze e Guattari, “ogni cosa è politica, ma ogni politica è contemporaneamente macro-politica e micro-politica”. Della politica delle affezioni, dello sfruttamento della concitazione sfrenata e impulsiva a livello di pura singolarità se n’è appropriata, con grande scaltrezza, prima la destra “totale” del californismo universale di stampo reaganiano, poi il populismo tradizionale attento agli umori e alle recriminazioni anti-establishment presenti con modalità virali all’interno del corpus sociale. L’attuale forza del populismo è la conseguenza diretta dell’esclusione di grandi strati popolari dagli standard economici e inter-mentali imposti dalle élite  neo-liberiste post-1989.


Ammirazione e vendetta: magnetizzazione del vincitore e necromazie della storia del mondo
Com’è possibile che larghi strati popolari possano di nuovo obbedire docilmente e abbandonarsi senza resistenze ai nuovi soggetti autoritari? Gabriel Tarde lo spiega con queste parole: “Non è del resto la paura, lo ripeto, ma l’ammirazione, non la forza della vittoria ma lo splendore sensibile della superiorità, la sua presenza ingombrante, a dar luogo al sonnambulismo. Così accade, a volte, che il vincitore sia magnetizzato dal vinto”. In Italia il largo substrato elettorale post-classista, che fino al giorno prima sosteneva il dominio berlusconiano, può votare oggi con altrettanta foga sonnambula altri soggetti autoritari a causa dell’ammirazione segreta per il nemico battuto,poichè il carattere dominante dei sonnambuli è una singolare miscela di anestesia e iperestesia dei sensi”. Come afferma Tarde tutto ciò accade sia a livello micro,  per la capacità di reazione determinata dall’istintività quasi animale della deriva populista, sia a livello macro - storicamente più dilatato - come accadde ai Germani dopo la conquista dell’Impero romano nel V secolo d.c. e agli stessi Romani dopo la conquista dell’Ellade nel III secolo a.c. La stessa perturbazione profonda e l’identica lontana fascinazione a intermittenza si può trovare curiosamente rovesciata in Ernst Bloch quando riprende le “necromazie della storia del mondo” da Karl Marx: mentre Gabriel Tarde vede l’ammirazione come movente profondo del sonnambulismo, Ernst Bloch scorge la vendetta integrale e la negazione totale come impulsi principali dei grandi movimenti socio-politici di rinnovamento. Bloch lo chiama “elemento originario”. Questo elemento fa sì che i rivoluzionari francesi si rifacessero alle pratiche del consolato romano, i contadini tedeschi della rivolta di Müntzer alle gesta febbrili degli ebrei dell’Antico Testamento, le Signorie e gli intellettuali del Rinascimento italiano alle imprese greco-romane e alla cultura pagana. Vendetta integrale e ammirazione nascosta per il vinto sono gli ingredienti incendiari di ogni impazienza rivoluzionaria, contraddittoria e sofferta, ma pur sempre rubricabile come esplosione politica di sonnambulismo e imitazione.


Dal piccolo borghese al post-borghese. Autonomia della post-borghesia
Ci domandiamo: esiste una costante socio-politica del rank and file populista e fascistoide italiano, che attraversa tutto il Novecento e si affaccia disorientata nel XXI secolo? Antonio Gramsci riteneva che la matrice dell’ Ur-fascismo come movimento di massa fosse determinata dalla volontà della piccola borghesia di autonomizzarsi dalle élite dominanti e dall’establishment nazionale e internazionale. Seguendo la sua analisi, sarebbero state le condizioni sociali ed economiche createsi nei primi due decenni del XX secolo ad aver spinto la piccola borghesia italiana, sotto i colpi della crisi post-Prima guerra mondiale, a sublimare il desiderio di rendersi indipendente dai poteri costituiti e costituenti. L’analisi gramsciana entra in risonanza con altri scenari elaborati da altri osservatori acuti del costume italiano del Novecento. Thomas Mann, ad esempio, nell’analisi dei primi anni dell’era fascista elaborata in Mario e il Mago scriveva con piglio esplicito di marmaglia borghese. In un celebre scambio di battute nel film di Pierpaolo Paolini, La Ricotta, Orson Welles  - che interpreta il ruolo del regista politicamente impegnato - risponde in questo modo a una domanda (“Che cosa ne pensa della società italiana?) di un giornalista: "Il popolo più analfabeta, la borghesia più ignorante d'Europa” declama il regista. Lapo Berti descrive in modo penetrante questo segmento trans-generazionale della società italiana, lo stesso stigmatizzato da Pierpaolo Pasolini, quando scrive di modernità incompiuta:


“La modernizzazione incompiuta ha fatto sì che negli strati profondi della società, laddove si formano, in maniera sostanzialmente irriflessa, le opinioni degli individui, continuassero a vivere e a fluire atteggiamenti ostili al moderno in tutte le sue declinazioni, seppure pronti a entusiasmarsi ingenuamente per le sue "invenzioni". Essi trovarono un momento di esaltazione nella narrazione fascista, transitarono pressoché immutati nel grande calderone del riformismo democristiano e sono tornati a esaltarsi per l'anomalia berlusconiana, che ne ha rivelato, una volta per tutte, il fondo populistico e antidemocratico. Rappresentano e hanno sempre rappresentato una buona metà del popolo italiano e, con il loro attivarsi o disattivarsi,  hanno condizionato e condizionano i destini del paese”.


Topologia semi-barbarica: crudeltà e miasmi della società italiana
Questa porzione di società italiana votata all’agonismo, vivace, avventurista, produttiva, violenta, inquieta, cattolico-romana, ipocrita, allo stesso tempo corporativa e atomicamente individualista,  sperimentatrice di forme permanenti di antistatalismo, antipartitismo e de-popolamento, si irretisce transitoriamente di pericolosi contenitori politici, non ultimo il fenomeno del grillismo, che le garantiscono una radicale immanenza al campo sociale e la continuità nella fruizione di una autonomia post-classe, post-borghese, a-storica rispetto al Moderno e al concetto di Popolo elaborato dalla filosofia politica Occidentale. Cento anni sono passati invano se, nell’aprile 1921, Gramsci scriveva:


“E’ divenuto ormai evidente che il fascismo non può essere che parzialmente assunto come fenomeno di classe, come movimento di forze consapevoli di un fine reale: esso ha dilagato, ha rotto ogni possibile quadro organizzativo, è superiore alle volontà e ai propositi di ogni Comitato centrale o regionale, è divenuto uno scatenamento di forze irrefrenabili nel sistema borghese di governo economico e politico: il fascismo è il nome della profonda decomposizione della società italiana, che non poteva non accompagnarsi alla profonda decomposizione dello Stato e oggi può essere spiegato solo con riferimento al basso livello di civiltà che la nazione italiana aveva potuto raggiungere in questi sessant’anni di amministrazione unitaria. Il fascismo si è presentato come l’antipartito, ha aperto le porte a tutti i candidati, ha dato modo, con la sua promessa di impunità, a una moltitudine incomposta di coprire con una vernice di idealità politiche vaghe e nebulose, lo straripare selvaggio delle passioni, degli odi, dei desideri. Il fascismo è divenuto così un fatto di costume, si è identificato con la psicologia barbarica e antisociale di alcuni strati del popolo italiano, non modificati ancora da una tradizione nuova, dalla scuola, dalla convivenza in uno stato ben ordinato e ben amministrato”.
Con l’evolvere del magma populista si notano in Italia, laboratorio quanto mai creativo di soluzioni dati i volumi dell’informe aggregato post-borghese, spuntare i capipopolo ad ogni angolo “e soppresso un partito nasce ‘una vendita di carbone’ o addirittura una camorra”. Il paesaggio melodico del populismo italiano si è arricchito negli ultimi mesi di un nuovo personaggio ritmico, il Movimento dei Forconi, nel quale confluiscono i vari segmenti sociali composti da ultra-populisti, anti-tasse, neofascisti, uligani da curva, mafiosi, camorristi, impoveriti a vario titolo e disoccupati in saecula saeculorum. Forse è già iniziata una nuova fase di protesta populista post-Grillo? La destra-destra si sta riappropriando faticosamente di un corposo spazio politico che le era stato sottratto dal fulmineo successo dei populisti del M5S giusto qualche mese prima.


Psicopatologia dittatoriale e sonnambulismo di massa
Tra la versione old media del populismo tradizionale e quella new media del populismo analogico pentastellato esiste dunque una precisa distinzione. Utilizziamo, a questo proposito, il concetto di psicopatologia dei dittatori, ovvero l’abnorme abilità da parte del leader di garantire ai propri followers il capovolgimento psicologico da una condizione di inferiorità - dovuta alla sottomissione dell’onesto cittadino al potente corrotto - ad una di superiorità. Tale superiorità è figlia della doppia abilità dell’ex-comico: da una parte l’arma dello sberleffo tagliente che permette di demolire l’avversario politico e di ridicolizzarne gli aspetti più deleteri, dall’altra la pienezza della superiorità etico-morale del leader maximo rispetto ai propri avversari sui quali vengono proiettati schemi  ancestrali. Da questo punto di vista funzionano benissimo le  coppie concettuali populiste - messe in luce come frame nell’intervento di Simon Choat - quali politici/corrotti, banchieri/usurai, immigrati/ladri e via semplificando. Se per i seguaci di Berlusconi i principali moventi dell’ipnosi erano la complicità e l’identificazione con la zona oscura dell’ingiustizia causata dai “colpi di spugna” dei vari condoni tombali e dalle inefficienze di Stato che certificavano l’impunità para todos los caballeros, per i movimentisti a cinque stelle il soggiogamento molecolare ipnotico è invece dovuto - nella più fulgida tradizione pastorale -  a massicce trasmissioni virali di passività e false verità inculcate dal prestidigitatore Grillo a una società in stato accelerato di smottamento. A risultare acuta, e decisiva, ancora una volta, è la retorica del Mago Cipolla:
La capacità, diceva il Cavaliere Cipolla, di rinunziare a se stesso, di trasformarsi in strumento, di attenersi a una incondizionata e perfetta obbedienza, è solo il rovescio dell’altra di volere e comandare [...] Si tratta della stessa, identica capacità: comandare e ubbidire rappresentano insieme un solo principio, una indissolubile unità; chi sa ubbidire, sa pure comandare, e inversamente; un pensiero è compreso nell’altro, come popolo e duce sono compresi uno nell’altro; ma il lavoro, il durissimo ed estenuante lavoro, è in ogni modo opera sua, del duce e organizzatore, che in sé identifica volontà e ubbidienza”.
Quanta fatidica assonanza alla figura del dux Grillo e al suo essere obbediente megafono/strumento di un gregge grillino già mesmerizzato in precedenza. Grillo non fa politica per sè stesso, non è nella competizione politica per proprio volere ma è colui che de/ride e combatte per noi: si è trasformato in strumento della nostra volontà espressa in Rete. “Io sono  solo il  megafono di questi ragazzi”.


Seconda parte: Il populismo digitale di Gianroberto Casaleggio


L’alba dorata dello stratega della Rete
Ma chi è Casaleggio? Gianroberto Casaleggio, 60 anni (1954), milanese, è il socio-fondatore (2004) della Casaleggio Associati srl, azienda di marketing e di comunicazione che gestisce il lato tech del M5S. Ha la signoria incontestata del mondo “digitale” del Movimento. Se possiamo parlare di populismo digitale lo dobbiamo in principal modo a lui.
Casaleggio è un esperto di Rete e di management dell’economia legata all’IT. Manager puro e duro delle aziende dot-com italiane - ha lavorato in Olivetti e in Webegg-Telecom - Casaleggio è        l’ambizioso head hunter di Beppe Grillo, il quale lo definisce senza esitazione un “pazzo” o un “genio del male” dopo il loro primo incontro avvenuto nel 2004. E’ l’unico politico italiano che abbia letto con assiduità e acume sia Marshall McLuhan che la bibbia per geek,  Wired. Casaleggio, sul biglietto da visita, si autodefinisce Net Strategist. E’ cresciuto “ideologicamente” con le idee di Nicholas Negroponte, Philip K. Dick e Chris Anderson. Unico progetto antropologico-politico, ambiziosissimo: disintermediare lo zoon politikon.


Prototipi di disintermediazione al tramonto del XX secolo
L’economia cybertech ha totalmente cambiato, negli ultimi vent’anni, il corso del capitalismo contemporaneo così come l’abbiamo conosciuto finora. Interi settori “maturi” del sistema economico del XX secolo sono crollati, o si sono totalmente rimodulati, sotto i potenti colpi delle rivoluzioni cyber-tech che si sono succedute anno dopo anno, a partire dalla fine degli anni Novanta, bolla dopo bolla. Tra i settori disintermediati con modalità turbo-selvagge: la musica, l’editoria, la finanza, la comunicazione e il settore di intermediazione più classico: il credito. A partire dalla fine del XX secolo ciò che avveniva nel volgere di interi cicli economici, è avvenuto per balzi improvvisi grazie all’utilizzo di tecnologie rivoluzionarie: a volte nell’arco, di una sola stagione come nel caso più emblematico di tutti, l’MP3. L’impatto che Napster e l’MP3 ebbero sul mercato industriale nel biennio 1999/2001 fu devastante. Internet permise la condivisione diretta e la socializzazione gratuita tra milioni di persone di una singola opera musicale attraverso lo sharing P2P, saltando arditamente tutte le problematiche di mercato, di copyright e di legislazione nazionale e internazionale del settore. Un nuovo standard soppresse gli standard precedenti. In effetti, il crollo repentino dell’industria discografica musicale fornì lo spunto per la totale riconfigurazione non solo del segmento industriale ma di tutto il mondo che economicamente era legato alla fruizione del “sistema” musica - dalla casa discografica alla sala di registrazione, dalla distribuzione generalista al commercio al dettaglio, dalla comunicazione al video-clip e infine dai supporti fonografici al management di musicisti e addetti al settore. Una vera e propria rivoluzione hi-tech che ha naturalizzato l’artificiale e performato la socializzazione pirata dei data. La cyber-disintermediazione che colpisce i mercati “maturi” è all’opera anche nel progetto M5S,  la piattaforma Napster della politica italiana in cui Beppe Grillo e, soprattutto, Gianroberto Casaleggio svolgono il ruolo che fu di Shawn Fanning e Sean Parker. Il loro è - o vorrebbe essere - un social service gratuito all’industria politica.


Disintermediazione dello zoon politikon
Disintermediare l’animale politico - unità minima e singolarità cosciente dell’industria politica - non è esattamente la stessa cosa della disintermediazione di una singola audio-unità gestita dall’industria musicale. Tutti gli strumenti di cui si è dotato lo zoon politikon occidentale in 2500 anni circa di servizio “democratico” - dalla Boulé di Clistene alla House of Commons inglese sino all’Assemblée nationale francese - sono stati funzionali a riforme, spesso radicali, di rappresentanza politica, conformandosi in tal modo alla  composizione sociale che si veniva man mano definendo all’interno della società. Gli agenti che si muovono all’interno degli strumenti attuali della rappresentanza, ovvero i partiti politici, sono essi stessi espressioni delle mediazioni di interessi territoriali e sociali nei quali operano. La democrazia moderna opera per mediazioni; si nutre di mediazioni. Purtroppo la generale decomposizione degli Stati-nazione sotto i colpi della macchina economico-finanziaria del globalismo, ha svuotato di credibilità istituzionale sia gli organi rappresentativi e legislativi, sia le organizzazioni operanti in questi contesti, rendendoli più deboli rispetto alle forze organizzate emergenti in altri segmenti della società. Da questa sostanziale debolezza nasce l’idea - quanto mai condivisa in ambito occidentale - della riduzione dei “costi” dell’industria politica. Ma - è bene ricordarlo - all’interno del downsizing economico dei soggetti politico-istituzionali opera un “movimento-ideologia” quanto mai limpido nel conseguire il proprio obiettivo: l’auto-governo del mercato mondiale da parte del segmento economico-finanziario, da conseguire attraverso la liberazione illimitata dei flussi economici dai lacci e lacciuoli della corporate nation. Il depotenziamento ottiene la soglia massima di disintermediazione grazie all’eliminazione di strati inter-medi di organi amministrativi e  rappresentativi pensati superflui. Se questo depotenziamento assoluto è un “movimento” che il capitalismo economico-finanziario persegue da decenni, già dunque cronicizzato, qual’è al suo interno l’apporto essenziale della network culture e del populismo digitale? Il populismo analogico, nella sua versione autoritaria e fascista, sembrò rispondere ai quesiti della disintermediazione imposti, a livello macro, dal capitalismo industriale del XX secolo con le figure del dittatore e del leader che si approcciano direttamente al popolo e alle masse, saltando le intermediazioni sociali, sindacali, politiche, istituzionali. Alla luce di tale semplificazione della chain of command, quali sono le idee-guida e le nuove incarnazioni del potere che il populismo digitale all’alba della Petabyte Age  indica ?
La risposta di Casaleggio a questo scenario in decostruzione è la democrazia diretta elettronica e il movimento politico autopoietico organizzato in  forma di network.


Tutti i modelli sono sbagliati: l’obsolescenza dei partiti di massa
Il primo obiettivo della disintermediazione di Casaleggio è il partito politico, considerato come un modello obsoleto di rappresentanza. Il partito politico moderno affonda le proprie radici nel XIX secolo, per affermarsi poi nel XX secolo con le società di massa. Il tramonto della civiltà industriale ha scosso il modello organizzativo del partito novecentesco, soprattutto a sinistra, in concomitanza con la crisi dei ceti popolari e delle classi sociali intermediate. Chi proviene, come Casaleggio, dal mondo di Internet, conosce il celebre motto di George Box: “All models are wrong, but some are useful”. Non solo tutti i modelli sono sbagliati ma alcuni sono utili afferma Box nel suo scritto; ma quanto devono essere “sbagliati”, tali modelli,  per non essere più utilizzabili? Sono le gare competitive, cioè le elezioni politiche, a certificare l’utilizzabilità delle forme-partito e il “quanto sbagliati” sono i modelli in competizione tra loro. Con una sola, grande avvertenza: c’è un rischio-sistema insito nella crisi dei “modelli” poiché il tracollo degli stessi può portare ad un collasso dell’intero sistema politico. Oltre alla crisi oggettiva post-1989, i partiti politici italiani scontano la crisi derivante dalla corruzione endemica nella società italiana. Nel 1992 Tangentopoli spazza via un’intera classe dirigente. A questa doppia crisi intrecciata, il laboratorio politico italiano fornisce, come nuovo modello di partito, Forza Italia. Si tratta di un’organizzazione marketing oriented basata essenzialmente sul modello “aziendale” gerarchico, con scarsa rappresentanza territoriale e la comunicazione imperniata sul medium televisivo. Il target di rappresentanza è quello descritto in precedenza nella sezione del populismo analogico: la massa informe postborghese largamente maggioritaria nella società italiana. Questa esperienza di Forza Italia entra in una fase di rapido esaurimento in soli vent’anni, non tanto e non solo per i clamorosi casi di corruzione addebitati a Berlusconi e ai suoi principali collaboratori, ma perché l’avvento di Internet, prima, e la diffusione dei social network poi, fanno entrare in profonda crisi la vera fonte del potere egemonizzante berlusconiano, la televisione. I new media stanno uccidendo gli old media. Casaleggio ritiene infatti che giornali e televisione appartengano al passato: sono da considerare, sempre di più, strumenti di comunicazione di “nicchia”. Un’esperienza di marketing di successo, Forza Italia, è dunque divenuta obsoleta nell’arco di due decenni. E’ tempo di un nuovo esperimento di marketing politico. La Casaleggio Associati svolge nel M5S lo stesso ruolo che Publitalia svolse in Forza Italia: fornisce il nuovo modello organizzativo e la nuova forza comunicativa nell’info-sfera digitale del XXI secolo. I tempi sono però profondamente cambiati dal biennio 1993-1994, gli anni di elaborazione del modello populista analogico del “partito verticistico aziendale”. Tutti i modelli sono sbagliati ma nessuno, ora, è  utile. Come afferma Chris Anderson: “They don’t have to settle for models at all”. Non c’è più nessun modello da ricercare. Saranno i data a fornire un modello a posteriori. Prima i data, poi il modello. Google docet.


Data is data. Less is not more. More is more. More is different
Se al culmine della stagione delle avanguardie e del design minimalista Mies van der Rohe coniò il celebre motto Less is more, Chris Anderson ha gioco facile nell’affermare che, nell’età del Data Deluge,  More isn’t just more e che l’attuale illimitata disponibilità di dati comporta una specifica nuova intelligenza connettiva. Dunque More is different perchè la correlazione massiccia tra data è sufficiente per pensare “differente”,  come ci insegna l’esperienza di Google. Se il partito politico del futuro - l’organizzazione autopoietica basata sul web, nelle intenzioni di Casaleggio - è simile ad un’impresa economica che lavora all’interno di un mercato altamente competitivo, come individuare con precisione i propri clienti-target? A questa domanda rispondono le avanguardie della cosiddetta Data Science, ovvero gli smart algorithms che raccolgono, archiviano, analizzano e utilizzano automaticamente i data presenti disordinatamente non solo nella Rete ma in in una dimensione meta-internet che investe tutta la sfera sociale. L’obiettivo degli smart algorithms è la profilatura dell’utente attraverso il processo dei data generati dallo stesso in un determinato ambiente. Tale controllo totale e ubiquo genera in forma elettronica due categorie di dati differenti: user data e user behaviour. Bisogna dunque distinguere tra utente e  comportamento. Il primo caso comprende singoli pezzi di informazione necessari a ricostruire, nel modo più approfondito possibile, l’identità del profilato che, per semplicità, definiremo utente elettore. Nel secondo caso, i dati comportamentali includono informazioni sulle azioni esperite dall’utente elettore. Dall’incrocio di queste due sezioni d’informazione si ricava il profilo che forma il modello generale dell’utente-elettore, dal quale discenderà, nell’era digitale, la classificazione individuale e di gruppo manifatturata attraverso il Machine Learning, disciplina informatica che si occupa di sistemi computazionali che perfezionano le proprie prestazioni imparando dall’esperienza.


La politica come matematica applicata
A questo punto il puzzle si va ricomponendo. Ogni singolo pezzo d’informazione collezionata viene processato. Dopo il processo avviene la profilatura. Alla profilatura segue il modello-pattern e la successiva classificazione in cluster o raggruppamento omogeneo. Dalla forma elettronica datificata viene estratta nuova informazione che va a costituire un nuovo sapere. Questi dark data non sono disponibili al pubblico, all’utente-elettore che li ha forniti obtorto collo grazie al patto economico “razionale” stabilito: accesso gratuito all’informazione via Internet contro rilascio gratuito di user data e user behaviour. I dark data possono dunque essere ceduti all’industria pubblicitaria - come nel caso eclatante di Google - e quindi genericamente all’industria per ricavarne introiti, o essere distribuiti a varie agenzie governative ed extra governative per supposte ragioni di sicurezza, vedi il caso PRISM/NSA/Snowden. Oppure, come nel nostro esempio, possono formare la base, il rank and file, di qualsiasi movimento politico che si basi su Internet e sulle culture di rete.  Data is data ma, va da sè, migliori sono i dati, migliori sono le analisi, migliori sono i risultati. Come nel caso di Google, migliori sono le sue capacità come motore di ricerca, migliori le sue risposte e maggiori le gratificazioni per i suoi utenti. Perchè un certo utente-elettore sceglie un determinato partito? Perchè un certo utente-elettore si sente più empatico con alcuni argomenti piuttosto che con altri? Quali sono le sue inclinazioni personali? Si riesce a delineare un profilo sempre più taylorizzato di questo utente-elettore?


La googlizzazione della politica
Che cosa può apprendere la politica da Google? La correlazione “neutrale acritica” tra dati, anche i più disparati. Google, afferma Chris Anderson, ha conquistato il primato nel mondo della pubblicità solo grazie alla matematica applicata, tramite il famoso algoritmo denominato PageRank. Non ha mai preteso di conoscere nè la pubblicità nè il suo mondo. Google ha solo assunto che i migliori dati, con l’utilizzo dei migliori strumenti analitici, avrebbero avuto la meglio in un mercato altamente competitivo quale quello pubblicitario. Google aveva ragione e si è conquistata l’agognato primato mondiale. Non sappiamo se in politica verrà mai inventato un algoritmo simile a PageRank ma, al momento, Casaleggio è il politico che più si è avvicinato al modello Google. Casaleggio non ha mai preteso di conoscere nè la politica nè il suo mondo. Casaleggio ha solo assunto che i migliori dati, con l’utilizzo dei migliori strumenti analitici, avrebbero avuto la meglio in un mercato altamente competitivo quale quello politico. Siamo testimoni, grazie al successo delle strategie del populismo digitale di Casaleggio, della nascita di un potere temibile che si sta trasferendo dall’astrazione del cyberspazio alla realtà politica e sociale. La googlizzazione della politica è dunque immanente alla governamentalità algoritmica della società di controllo che stiamo esperendo giorno dopo giorno. Non si tratta solo di una nuova “ingegneria politica” o di una “ingegnerizzazione” della politica. Siamo già immersi, senza nemmeno esserne consapevoli, nella svolta computazionale della politica.


Il web marketing va in paradiso. I movimenti politici strutturati come network semantici
Funzionale alla googlizzazione della politica è lo strumento del web marketing. Abbiamo visto che Casaleggio considera i partiti politici alla stessa stregua dei dischi in vinile, o dei giornali, modelli obsoleti destinati alla futura estinzione, come i dinosauri. Perchè perdere tempo con il futuro dei dinosauri? Il futuro della rappresentanza politica, per Casaleggio, risiederà nei movimenti. Quando il cyber-manager milanese parla di movimenti intende il clustering di elettori prosumer ben profilati che possono essere utilizzati come bacino d’utenza e laboratorio di condizione umana per i propri ed esclusivi fini di potere politico. Che altro è se non una webcrazia il manipolo, enfaticamente definito la Rete, di circa 50.000 militanti-tesserati dei MeetUp o iscritti al movimento, che sono stati innalzati a perimetro decisionale dinamico per tutte le presenti e future decisioni politiche? La scelta webcratica, nata con le Parlamentarie alla vigilia delle elezioni del Febbraio 2013, risponde a tre obiettivi precisi: l’attivazione di una rudimentale forma di democrazia diretta elettronica; la trasformazione e plasmatura del movimento, o almeno del suo nocciolo duro, come network semantico autopoietico; ed infine, la possibilità di monitorare da remoto le cluster analyses del network semantico messe in atto dalla techware del populismo digitale della Casaleggio Associati. Tale sorveglianza elettronica viene attuata attraverso software sviluppati, testati e gestiti direttamente dalla Casaleggio Associati – nonostante l’idea di una piattaforma aperta e costruita dal basso, nella migliore tradizione di Internet e dei PiratenPartei, venga spesso reclamata all’interno del M5S. L’esperimento di marketing politico, ovvero isolare un gruppo consistente di prosumer-elettori all’interno di un cluster ben delineato, sorvegliarlo e testarlo nell’ambito delle sue azioni durante un periodo temporale relativamente esteso, è il nec plus ultra di qualsiasi tecno-evangelista coinvolto nell’interazione tra data science, social network e marketing. Ecco il vero diluvio di dati. Il paradiso del web marketing.


Oltre la destra e la sinistra. L’ideologia di Internet al lavoro. Il senso a posteriori
Che “tipo” di politica produce il web-marketing? Sulla presunta neutralità del M5S si sono fatte pesanti ironie. Qualcuno ha ironizzato che definirsi “oltre la sinistra e oltre la destra” è implicitamente qualunquista, ergo di destra. Ma guardiamo l’oggetto della querelle dal punto di vista privilegiato del populismo digitale. L’approccio Google sopra richiamato implica che, nel caso di un quantitativo esponenziale di dati, improcessabili dalla singola mente umana, l’unica cosa che può esserci utile è la “correlazione”. L’analisi correlativa non è supportata da nessuna ipotesi scientifica pre-esistente ma da un semplice atteggiamento analitico di confronto. Non ci sono ragioni per cui un singolo dato è migliore di un altro. Il senso è prodotto più tardi, dalle correlazioni tra dati e azioni. Così funziona Google: un sito diventa più “interessante” e scala il ranking del motore di ricerca in base al numero di link di qualità stabiliti. Come giustamente nota Elena Esposito, questo tipo di analisi oggettivo-correlativa disegna una nuova “geografia del web”: l’ordine è ottenuto dal disordine. Così, come per Google il collocamento di un “oggetto-sito web” all’interno della griglia elaborata dall’algoritmo PageRank emerge dopo un “fatto”, il collocamento non-lineare nella geografia politica post-illuminista di ogni singola scelta del M5S non deriva da una ideologia pre-esistente, o da valori precedentemente condivisi dai suoi deputati ed elettori, ma dall’analisi oggettiva dei dark data disponibili esclusivamente ai due leader. A supporto della nostra tesi, richiamiamo un esempio, giustamente annotato da Tiziana Terranova, riguardante la polemica che scaturì dalla posizione politica di Senatori M5S nei confronti dei fatti accaduti a Lampedusa il 3 Ottobre 2013. Come si ricorderà, due senatori M5S presentarono un emendamento che abrogava il reato di immigrazione clandestina presente nella legge Bossi-Fini. Tale emendamento venne votato a maggioranza dalla Commissione Giustizia del Senato ma Casaleggio e Grillo censurarono radicalmente dalle colonne del blog l’iniziativa dei due senatori affermando che, se la posizione ufficiale del movimento fosse stata quella dei due portavoce, il M5S avrebbe ottenuto nelle elezioni del febbraio 2013 una percentuale insignificante di voti. E’ probabile che i dark data in possesso di Grillo-Casaleggio, e non fruibili a eletti ed elettori, abbiano spinto il duo a censurare in modo perentorio il comportamento dei Senatori. Ciò che a molti è apparsa come una vittoria parlamentare del M5S da rivendicare con orgoglio civico, nel mondo rovesciato dei due leader è una cocente sconfitta. Nessuna emozione, nessun valore. “Il M5S non è nato per creare dei dottor Stranamore in Parlamento senza controllo”. Gli eletti del popolo italiano non sono senatori, nemmeno portavoce del non-partito, bensì avatar. Data is data. Detto in altri termini: con l’avvento della Big Data Era la storia della politica non potrà più essere pensata in termini di produzione, bensì di relazione.


Lo stratega della Rete diventa il manager della complessità
Se la datificazione della politica è inarrestabile, quali saranno i termini dei rapporti tra democrazia e data? La risposta del populismo digitale alla datificazione della sfera pubblica è multiforme. Attinge a piene mani dalle culture di Rete per costruire organizzazioni eterarchiche, pratiche di militanza, modalità di comunicazione, marketing aggressivi, strategie audaci e modellizzazioni teoriche del tutto nuove. Come giustamente annotava Bruce Sterling, Casaleggio è stato l’unico teorico della Rete al quale è riuscito l’obiettivo di eleggere un alto numero di cittadini-deputati nel parlamento di un paese del G8 grazie ad elezioni libere e democratiche. Al primo tentativo. Tutto questo non è riuscito né a Jeff Bezos, né a Mark Zuckenberg, né a Lawrence “Larry” Page. A Casaleggio sì. Un indubbio successo, ma per arrivare alle soglie di questa strepitosa affermazione, il Net strategist si è dovuto re-inventare come “manager della complessità”. La sua creazione, il M5S,  si é rivelato un “dispositivo” che ha impattato direttamente la realtà sociale affrontandone in maniera radicalmente innovativa differenziazioni e discontinuità. Gli anni passati a studiare il marketing applicato alla Rete gli hanno sicuramente permesso di entrare in contatto con le idee guida del management della complessità quali logica di Rete, autopoiesi, eterarchia ed evoluzione al “margine del caos”. Per inferenza, i desiderata politico-digitali che ne ha tratto Casaleggio sono stati: a) creare uno strumento, un non-partito, che avesse le caratteristiche del network b) arruolare un agente perturbativo che orientasse il sistema-network c) gestire connessioni, relazioni e dipendenze delle variabili di un sistema-network, normalizzando le molteplicità per aumentarne l’equilibrio ed assicurarne il suo futuro sviluppo d) fondare una nuova pedagogia politica originata dall’architettura del “contesto network”. Questo è stato il laboratorio politico sperimentale al quale Casaleggio si è dedicato per dieci anni, tra il 2004 e il 2014.


Connessioni politiche tra sensori territoriali e reti sociali digitali
Qual’è il miglior strumento per affrontare la complessità del reale, dal punto di vista politico? Un non-partito auto-organizzato secondo le logiche contemporanee del network. Quando nel 2009 fonda con Grillo il M5S, Casaleggio sa che un’organizzazione e la sua struttura non possono nascere, crescere e consolidarsi nel vuoto pneumatico. E’ cosciente che il segmento esclusivamente “digitale” di un’organizzazione non è in grado di reggere il confronto con le altre forze politiche analogiche. Non è ancora il momento del populismo digitale integrale: l’approccio dovrà essere necessariamente graduale. Online e Offline dovranno condividere il proscenio politico. La rappresentanza politica sul territorio è generata da sensori territoriali orizzontali, che non dovranno replicare la rete territoriale delle sezioni, organiche, viceversa, allo schema-partito piramidale. I Meetup del M5S sono mutuati direttamente dal movimento grassroots di Howard Dean, politico del Partito Democratico e figura di riferimento dei progressisti d’oltre-oceano. Nel 2003 i Meetup collegati a Howard Dean furono la sua arma segreta nella corsa alle primarie democratiche in quanto realizzati extra filiera di partito, grazie all’ombrello offerto dal sito-piattaforma Meetup.com, creato nel 2002 da Scott Heiferman. Howard Dean prima creò l’organizzazione politica di base, ovvero il contesto, e solo in seguito costruì intorno ad essa il progetto politico. L’esperienza di Howard Dean, dei Meetup e del fundraising elettorale conseguente, caratterizzato da micro donazioni,  è stata fondamentale per la strategia utilizzata in seguito da Barack Obama nelle elezioni presidenziali del 2008. A differenza dei due politici statunitensi, Casaleggio non disponeva, nel triennio 2005-2008, di uno strumento-partito nel quale incubare il movimento. Non era infatti intenzionato a fondare un nuovo partito, essendo egli già proiettato in una dimensione post-democratica. Aveva intuito che tra mondo fisico e reti sociali digitali doveva essere costruita una connettività forte: tutte le potenzialità dei social network, se ben connesse alle comunità fisiche presenti sul territorio, risultavano iper-amplificate, trasformandosi in un potente dispositivo di propaganda e consenso. Un classico caso dove il tutto è più della somma delle singole parti.


Il modello organizzativo eterarchico
Il network, la Rete, anche nella sua declinazione social non può avere una struttura gerarchica. Il network deve essere necessariamente orizzontale: è nel suo DNA. Il web non ha ragione d’essere se non nella sua costitutività realizzata da nodi, archi, connessioni. Il modello organizzativo top down non può dunque essere perseguito. La rigidità dell’organizzazione del partito classico “fordista-taylorista” è pertanto rifiutata dal populismo digitale nel nome di un “governato” disordine, utile però a fronteggiare la non-prevedibilità dei sistemi complessi. Per il M5S è necessario un modello sperimentale, un prototipo organizzativo che tenga insieme l’orizzontalità dei social network e la necessità di un indirizzo da remoto, quanto mai discreto. Le risposte di Casaleggio alle domande del nuovo modello sperimentale, oltre alle logiche googliste che compongono lo scenario principale, saranno l’eterarchia e l’autopoiesi. E’ una scommessa difficile da sostenere e da vincere. Persino le aziende dot-com e 2.0 sono “tradizionali” nel loro modello aziendale gerarchico. Una rete sociale, composta da persone reali e non da trolls o fake è una sorta di sistema vivente. Al suo interno convivono emozioni, spontaneità, accumulazioni di esperienze, interconnessioni e  differenziazioni. Come governare queste caratteristiche senza la presenza di una leadership forte, di un modello “eroico” condiviso sia dal populismo analogico sia dai più tradizionali partiti novecenteschi? La risposta di Casaleggio risiede nel modello eterarchico di organizzazione. E’ noto che eterarchia non significa né gerarchia né anarchia. Essa prevede una posizione più sfumata, quasi nascosta, di leadership, come nella migliore tradizione dell’hidden agenda dell’ideologia di Internet. Il modello eterarchico è policentrico, moltiplica i punti di potere e le multipolarità non diventano gerarchicamente subordinate al vertice. All'interno del M5S infatti, i continui assestamenti e le ondivaghe frizioni tra i gruppi parlamentari e il nucleo di smart marketing della Casaleggio Associati, o tra la comunicazione militante, quella parlamentare e il blog di Grillo, o ancora tra gli attivisti del Meetup e i rappresentanti eletti nelle varie tornate elettorali, hanno rappresentato autonomi punti di potere in conflitto tra di loro. E’ un panorama caleidoscopico, quello del M5S: a vittorie parziali dei singoli segmenti di potere seguono autonomie decisionali, a cui a loro volta succedono prevaricazioni e normalizzazioni, richiami all’ordine ed espulsioni. L’autonomia e il potere politico-comunicativo del singolo militante o del singolo cittadino-deputato sono fortemente compressi e limitati dalla non-linearità strategica perseguita dalla Casaleggio Associati. Il modello organizzativo sperimentale eterarchico del M5S è in fase di test e di assestamento empirico: ogni attività politica del populismo digitale, tra il 2013 e il 2014, ha mostrato quale iato profondo sussiste tra una visione eterarchica reale e una pratica falsamente eterarchica, quale quella applicata dal duumvirato Grillo-Casaleggio. Lo slogan coniato per le masse pentastellate - uno vale uno - teso a glorificare il potere decisionale egalitario del singolo cittadino-utente, è contraddetto dalla realtà empirica che mostra un sostanziale autoritarismo del binomio Grillo—Casaleggio.


Mimetismo e capacità di adattamento nel dominio delle società di controllo
Il sogno di potere che accarezza Casaleggio agli inizi degli anni 10 ha dunque alcune caratteristiche in precedenza riportate: un contesto di rete pervaso da nodi indipendenti costituiti da gruppi di militanti autogestiti - la rete dei Meetup - e la connessione degli stessi nodi attraverso l’architettura del network. Nella cornice degli anni 2009-2012 il M5S elabora il proprio sviluppo come soggetto dinamico in contesti sia di “mercato politico” altamente competitivo, sia di crisis society articolata, discontinua e mutevole quale l’odierna. L’adattamento a queste condizioni socio-politiche “critiche” viene realizzato con processi evolutivi di auto-organizzazione  che impattano ogni singolo nodo e il network stesso. Questo mimetismo strategico permette al M5S: a) di mantenere la propria identità caotica e plurale grazie, e nonostante, gli input esterni ovvero gli accadimenti socio-politici esperiti nel corso della propria attività politica b) di reagire in maniera adeguata e rapida agli imprevisti, i cosiddetti “cigni neri c) di prosperare ed evolvere all’interno del contesto neo-liberale improntato all’ideologia di Internet d) di sopportare un mix di inefficienza e inesperienza tipico delle organizzazioni che si auto-regolano evolvendo e) di influenzare in modo circolare i comportamenti dei propri adepti-militanti grazie all’abile triangolazione di sorgente spettacolare/comunicazione del branding/meccanismo di autoregolazione f) di auto-determinare il vincolo di appartenenza al network M5S attraverso un elenco di requisiti minimi che, qualora non rispettati, comportino espulsioni g) di stimolare l’auto-regolazione dal basso e la progressiva identificazione con il brand-logo Grillo-M5S.  
Tra i tanti possibili esempi di questo approccio sistemico, scegliamo l’emblematico hacking politico che ha contraddistinto il primo anno di vita istituzionale del M5S. Segnaliamo due casi di Hack Politics: l’utilizzo delle Quirinarie e del loro precipitato in Parlamento mirato a far “esplodere” l’elezione del Presidente della Repubblica nell’aprile 2013 e gli incontri trasmessi in streaming tra delegazioni M5S e PD caratterizzati da elementi di frattura e palese incomunicabilità a causa della tattica di rottura dei delegati pentastellati. Tali dimostrazioni plateali di “interruzione di un servizio politico-istituzionale hanno le radici tanto nell’idea inconsueta che sia possibile rendere hackerabili le istituzioni per consegnare più potere alla cittadinanza, quanto nella perentoria  riconferma di essere una formazione anti-sistema e infine nella più prosaica mancanza di adeguate competenze intellettuali e professionali all’interno della compagine parlamentare del M5S, qualità che invece la politica istituzionale presuppone. L’intento primario di Casaleggio è quello di destabilizzare il sistema politico dall’interno e/o di mantenerlo in una posizione statica di squilibrio sistemico, non certo di diventare l’elemento equilibrante di un sistema politico destinato al disordine. Il M5S come acceleratore di disordine e desiderio che esprime - come Luciana Parisi ha sottolineato -  un nuovo tipo di nichilismo.


L’agente perturbante
Come orientare la Rete di nodi autogestiti dai militanti a cui si è concessa autonomia di connessione e leadership orizzontale? Come si può controllare da remoto la Rete e i suoi militanti, internamente autoregolamentati, senza una struttura verticistica che dipani capillarmente i programmi e le idee guida dal vertice alla base? La risposta di Casaleggio consiste nell’utilizzo dell’agente perturbante, Beppe Grillo. Si tratta, per il M5S, di una figura autorevole che fornisce ai propri adepti “perturbazioni”, ovvero disturbi discreti ma significativi, il cui vero obiettivo è realizzare l’allineamento preventivo delle posizioni più recalcitranti rispetto al messaggio “ortodosso” del movimento. Orientare gli utenti-elettori, disorientare i dissidenti interni, assorbire le differenziazioni di posizioni politiche ed espellere coloro che non accettano la normalizzazione dell’agente perturbante. Questi sono i compiti assegnati da Casaleggio a Grillo: in cambio l’ex comico concentra su di sè, sulla propria figura spettacolare, tutta la carica comunicativa del movimento e del network pentastellato. Ciò che è importante per Grillo,  è la possibilità d’indossare sine die i panni del mattatore da palcoscenico. La politica come forma moderna di teatro. Come già argomentato, l’influenza sui comportamenti è indiretta ed è sussunta dalla viseità autoritaria di Beppe Grillo. Per il manager della complessità e stratega di Rete Casaleggio, si tratta unicamente di comunicare all’utente-prosumer-elettore una robusta identità di branding: Beppe Grillo. E’ una pura logica commerciale: nel marketing è un messaggio mirato all’utilizzatore  finale - B2C - Business to Consumer. Dall’azienda al consumatore. Tutto è più rapido e conveniente: è la disintermediazione diretta del mercato.


La pedagogia politica del designer di contesti
All’interno della dimensione eroica e gloriosa del M5S quale copione interpreta l’eminenza grigia del populismo digitale, Casaleggio, nell’anno del successo elettorale che ha scatenato un digital tsunami nelle placide acque della politica italiana? A nostro avviso Casaleggio porta a compimento un proprio tragitto creativo di ideologo meta-internet della politica elettronica: da stratega di Rete a designer di contesti. Lo scopo di questa figura emergente è di pre-determinare le condizioni nelle quali possono crescere nuovi processi di civismo politico e prassi di militanza elettronica. Il designer di contesti è inoltre la guida micro-politica di squadre miniaturizzate e specializzate composte da operatori di processi relazionali. E’ qui che si instaura il centro di potere nel M5S, in questa serie di rapporti di dominio soffice che lo “staff” di Casaleggio intrattiene con il proprio network. Il principale fine politico del “dispositivo comunicativo M5S” è dominare il simbolico e riconfigurare il sociale attraverso l’impiego di strumenti di controllo che utilizzano modelli metamatici. Per acquisire questo livello è necessario assorbire, neutralizzare e deviare le energie individuali e collettive di trasmutazione presenti nella società, canalizzando verso altri territori il desiderio politico di cambiamento radicale. E’ dunque indispensabile ideare e fondare una nuova pedagogia politica, dentro e oltre il M5S, per educare con modalità aggressive il “popolo della Rete” alle logiche dell’ideologia di Internet. Gli esiti essenziali di queste dialettiche neomorfiche sono:


  • logica dell’efficienza
  • imposizione della tecno-oggettività
  • disintermediazione integrale dei mercati maturi
  • distruzione delle geografie politiche illuministe
  • smantellamento della dimensione etica e problematizzante della filosofia
  • pervasività granulare della comunicazione e del marketing
  • micro-fisica della sorveglianza pro-attiva o del feedback continuo
  • contenimento e neutralizzazione dell’aleatorietà insita nel sociale
  • promozione della governamentalità algoritmica
  • datificazione ubiqua e brandizzazione personale
  • inaugurazione dell’era della modellizzazione automatica del sociale


Il risultato finale dell’ideologia di Internet è la colonizzazione radicale dello spazio dialettico pubblico trasformato in spazio relazionale-commerciale. Il mondo a venire si costituirà dunque come “gigantesca memoria” e  ipertrofico magazzino di merci.
La pedagogia politica del prosumer non avrà nulla da invidiare a quelle maieutiche totalitarie che hanno ammorbato il XX secolo. Il populismo digitale è dunque uno strumento efficace dell’agenda nascosta dell’ideologia di Internet per imbrigliare e superare le forze di resistenza e i nuclei di contrasto che si oppongono al dominio turbo-algoritmico del Capitale.÷

Painting: Stelios Faitakis (Moloch, 2013)

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