Archeologia, neo materialismo e teoria delle minoranze
di Obsolete Capitalism
Elogio delle minoranze non è la cronistoria delle sconfitte degli italiani 'minoritari', e nemmeno un triste elenco delle occasioni mancate dalle minoranze attive, bensì una riflessione politica, storica e sociologica sul ruolo, lo scopo e l'eredità delle minoranze lungo un arco temporale di quattro secoli. Cerchiamo, allora, di cogliere i caratteri specifici del testo di Motta e Panarari, come chiusa finale della presente introduzione, secondo le indicazioni emerse nelle pagine precedenti.
Il primo aspetto caratterizzante è la denuncia diretta rivolta alla classe dirigente dominante: essa è essenzialmente il principale ostacolo verso quella omologazione qualitativa occidentale che molti frutti positivi - e qualcuno negativo, certamente - ha fornito alle nazioni europee nel corso dell'ultimo secolo.
Il secondo aspetto è la polemica rivolta ad una specifica gerarchia stratificata del nostro paese, gli operatori della conoscenza e della informazione, per sfidarli a prendere coscienza dell'inamovibilità e dell'inadeguatezza delle gerarchie italiane contemporanee, filiazione diretta della struttura seriale delle élite dominanti.
Il terzo aspetto è il limite epistemologico che il "reticolo archeologico" utilizzato dagli autori implica, ovvero l'impossibilità di una ricostruzione storica 'progressiva' del passato, causata dalle discontinuità e dalle faglie irregolari che si riscontrano nei periodi storici presi in esame.
Il quarto aspetto è l'esplorazione qualitativa storica messa in campo da Motta e Panarari - e qui sta, forse, il lascito migliore dell'opera - nella difficoltosa azione di drenaggio e riemersione delle culture 'sommerse' delle minoranze. Il loro sforzo è stato diretto a rendere di nuovo accessibile quel reticolo archeologico prima richiamato, sepolto a grandi profondità da 'gerarchie' del tutto consapevoli di chi, come e perché seppellire nelle fosse limacciose del tempo.
Ultimo aspetto positivo di Elogio delle minoranze - il più interessante ai nostri fini di una nuova teoria delle minoranze - è l'escavazione quale atto intellettuale consapevole, a cui poter assegnare il termine di archeologia storica. Una proto-scienza ancora tutta da pensare nei suoi tratti fondativi, ma per la quale è indispensabile, come prosa iniziale, trattenere e mettere a frutto alcune intuizioni presenti in questo libro.
Canguilhem (Morte dell'uomo o estinzione del cogito, 1967) definisce l'archeologia come la condizione di una storia differente "entro la quale viene mantenuto il concetto di evento, ma ove gli eventi colpiscono i concetti e non gli uomini". Grazie all'archeologia si verrebbe a delineare una nuova episteme, attenta a soglie, rotture, discontinuità e complessità, da ricercare non solo nell'ambito 'testuale', ancora troppo legato alla sola cultura, ma parimenti in altre discipline, come le scienze naturali e le scienze cibernetiche. Per essere efficace, tale archeologia deve partecipare alla sperimentazione speculativa del nuovo materialismo di Deleuze, Guattari e De Landa; materialismo rifondato su basi affatto divergenti rispetto al materialismo lineare e 'industrialista' del XIX secolo. Tolto dal luogo del 'conflitto' per eccellenza, l'impresa e l'ambiente di produzione, il neo-materialismo può proiettarsi in dimensioni non-antropocentriche e in tempi non-lineari, diventando una punta avanzata di creazione del nuovo.
E' giunto il momento, per la nuova generazione di intellettuali a cui appartengono Franco Motta e Massimiliano Panarari, di acquisire quell'originalità obiettiva e quell'abilità soggettiva necessarie per applicare nuovi linguaggi alle scienze sociali e rendere, ancora una volta, la storia, una sfida grintosa, e il pensiero, un atto rischioso.
( Fine dell'Introduzione «Per una teoria delle minoranze» )
(tratto dall'e.book Archeologia delle minoranze. Intervista con Franco Motta su "Elogio delle minoranze" - in uscita a Settembre 2015)
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