Sulla distribuzione del tempo
Obsolete Capitalism :: La storia appartiene alla grande distribuzione delle narrazioni o dei tempi? Lo storico che cosa è portato a decifrare e quindi a distribuire? All'interno di una massa frammentata e oscura di accadimenti, lo storico come sceglie il segno del tempo, tra i tanti segni e i tanti tempi disponibili? oppure egli opta per il reticolo spesso fitto, inestricabile ed enigmatico delle tante narrazioni singolari e collettive?
Franco Motta :: Con la vostra domanda portate il discorso alle basi del «mestiere di storico». Con questo la questione si fa estremamente complessa, e naturalmente difficoltosa soprattutto negli spazi ristretti di un dialogo come questo. A ciò va aggiunto che lo stessa tema è oggetto di dibattito tra storici da diversi decenni: le teorie di Hayden White sul tessuto retorico della storiografia, o quelle della corrente dei subaltern studies, o ancora il linguistic turn sono soltanto gli esempi più noti di una riflessione sullo statuto della narrazione storica che non può non cambiare con il cambiare dei tempi.
Alla fine degli anni Settanta, in un saggio intitolato Spie, Carlo Ginzburg attribuì al metodo storico il carattere di «paradigma indiziario», ossia di modello scientifico peculiare basato non tanto sull’esame di evidenze fattuali – che naturalmente pure non mancano, soprattutto man mano che ci avviciniamo al presente e si amplia il bacino delle fonti a disposizione –, bensì sull’individuazione e l’interpretazione di indizi, di “spie”, appunto, di tracce lasciate dal passato, spesso frammentarie e incoerenti, che tocca allo storico ricondurre a una struttura più ampia, quella dei fenomeni storici, con i loro sensi e le loro causalità.
Lo storico, in altri termini, fa un lavoro non dissimile da quello del giudice, che spesso è costretto a basare il suo giudizio su semplici indizi di un fatto accaduto del quale mancano le prove. Per restare alla metafora potremmo aggiungere, allora, che anche lo storico, come il giudice, ha la sua giurisprudenza, e cioè il complesso di interpretazioni e giudizi che ne orientano lo sguardo e sui quali si è raggiunto un adeguato consenso scientifico. Per fare un esempio, nessuno può negare oggi che sia esistito un fenomeno chiamato Controriforma, o secondo alcuni riforma cattolica o riforma tridentina, anche se non si contano le divergenze quanto alla sua cronologia, all’operato dei suoi attori etc.
In secondo luogo va tenuto presente che nessuno storico può prescindere da un’ipotesi di partenza nel momento in cui si avvicina all’oggetto della sua indagine, per il fatto stesso che il contatto con le fonti non avviene ex abrupto, ma procede con un percorso di avvicinamento fatto di competenze acquisite, interessi personali etc. Questa ipotesi di partenza deve essere verificata sperimentalmente, cioè sulla base delle risposte che danno le fonti (e in questo è presente un’analogia con le scienze dure), ma ciò non toglie che lo storico interroghi prima di tutto gli oggetti che cerca attraverso un meccanismo di selezione a priori. Questo consente a diversi storici di vedere cose diverse all’interno del medesimo oggetto: per restare all’esempio fatto ora, quello della Controriforma, all’interno dell’oggetto storico chiamato ‘gesuiti’ possono coesistere decine di prospettive di ricerca diverse, che addirittura si confrontano con le medesime fonti isolandone ora alcuni aspetti ora altri.
In questo senso non me la sentirei di contrapporre la scelta del segno del tempo a quella per il fitto reticolo delle narrazioni. Anche quest’ultimo può essere oggetto di ricerca storica, a patto naturalmente di volerne cercare il senso; si tratta di un’operazione certamente più complessa, e per questa ragione rifiutata a priori da molti studiosi, ma non per questo meno interessante, anzi tutto il contrario.
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Franco Motta è ricercatore in Storia moderna presso l'Università di Torino. Tra i suoi interessi di studio, le strategie politiche e culturali della Chiesa cattolica tra XVI e XVIII secolo. Ha curato l'edizione della 'Lettera a Cristina di Lorena di Galileo Galilei' (Marietti 2000) ed è autore di una biografia del cardinale Roberto Bellarmino (Bellarmino. Una teologia politica della Controriforma, Morcelliana 2005). Con Massimiliano Panarari ha pubblicato nel 2012, presso le edizioni Marsilio, il pamphlet storico-politico 'Elogio delle minoranze. Le occasioni mancate dell'Italia'. Ultima pubblicazione nel 2014, tramite le Edizioni Il Sole 24 ore: 'Bellarmino. Teologia e potere nella Controriforma'.
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Elogio delle minoranze
Le occasioni mancate dell'Italia
Cosa accomuna gli eretici italiani del Cinquecento e i social-riformisti dell'Italia primo-novecentesca, i galileisti del Seicento e gli igienisti dell'Ottocento, i protagonisti del Triennio giacobino e la famiglia allargata dei liberali di sinistra e progressisti? Innanzitutto l'atteggiamento mentale critico, consapevole, ma sempre distinto dal pragmatismo e dall'antidogmatismo. Infine un amaro destino: duramente sconfitti, costretti ad assistere in vita alla dissoluzione dei loro progetti, sono stati anche oggetto di dimenticanza o di damnatio memoriae. Massimiliano Panarari e Franco Motta ripercorrono la storia del nostro paese rileggendola attraverso le esperienze di quelle "grandi" minoranze virtuose, che hanno combattuto battaglie di stampo riformatore e per il cambiamento delle condizioni di vita. Un filo rosso attraversa il libro alla ricerca delle energie fondative di quella che avrebbe potuto essere un'altra Italia, i cui esponenti si rivelano oggi più vicini ai modelli sociali e culturali che risultarono vincenti in buona parte dell'Occidente sviluppato.
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