Sul potere delle minoranze
Obsolete Capitalism :: Non ritiene che le minoranze, soprattutto nel campo spirituale, esprimano un potenziale di riscatto e redenzione sociale e politica di notevole portata? Citiamo, a solo titolo d’esempio, il caso dei cristiani e il loro proselitismo tra la classe degli schiavi nell’Impero Romano dei primi secoli dell’Era volgare oppure il caso dei musulmani nella società indiana, quando la parola del Profeta fu l’occasione per milioni di ‘outcast’ di affrancarsi dal regime delle caste e dalla schiavitù della contingenza. Voi affrontate tale questione nel capitolo del vostro libro dedicata ai ‘riformatori’ del Cristianesimo in Italia: perché in Italia non è accaduto un fenomeno analogo, assumendo l’esistenza nella nostra penisola di milioni di poveri e diseredati nel corso del XVI e XVII secolo?
Franco Motta :: Alcune realtà storiche sono più sensibili a un programma di riforma di matrice religiosa, altre meno. Alcuni contesti si alimentano alla fonte della religione, altri a quella della politica, altri ancora al primato dell’economia. Non saprei come inquadrare altrimenti questo tema, che pure giustamente ponete. L’Italia del Quattro-Cinquecento era considerata dalle culture prossime un paese di atei; che sia stato un portato del paganesimo rinascimentale o della reazione al sistema di potere della Chiesa non saprei dire: fatto sta che il messaggio religioso della Riforma in Italia fu sempre mediato da istanze di natura politica e, in senso lato, culturale, e fu su questo terreno che esso perdette la sua battaglia, allorché le aristocrazie e i patriziati si schierarono con la Chiesa romana su basi di reciproco interesse. Il potere del discorso religioso non ha mai avuto in Italia quello spessore che ha avuto in Germania, negli Stati Uniti o in tanti paesi slavi, come la Serbia e la Polonia. Nemmeno la paradigmatica campagna elettorale del 1948, quella delle madonne piangenti, fu uno scontro fra religione e irreligione, malgrado le forme in cui essa si presentava, ma fra appartenenze locali, esperienze di emancipazione e di consuetudine, prossimità partitiche e comunitarie.
Non che il successo della Riforma in Germania o nei Paesi Bassi sia stato privo di fattori politici ed economici, sia chiaro. Resta però il fatto che l’attenzione diffusa alle implicazioni teologiche del luteranesimo e del calvinismo trovò terreno più fertile in quei paesi che non nel nostro. L’impegno caritativo della Chiesa cattolica fu senza dubbio un elemento fondamentale della sua presa sugli strati inferiori della società, dal XVI al XIX secolo, ma questo, a mio parere, non chiude la questione. Ci sono culture intimamente religiose e altre che non lo sono: la Cina è un lampante esempio di cultura irreligiosa – cioè non dominata da imperativi morali di ordine religioso – che ha costruito la propria identità sul primato dell’appartenenza comunitaria e, al tempo stesso, del successo economico.
Negli Stati Uniti, al contrario, il successo economico è intimamente legato all’identità religiosa protestante. Per scandagliare efficacemente l’influenza di questi elementi occorrerebbe un ambizioso lavoro comparativo che trascende i limiti della nostra ricerca. Ma che varrebbe comunque la pena di tentare.
( Fine dell'intervista )
( Fine dell'intervista )
Franco Motta è ricercatore in Storia moderna presso l'Università di Torino. Tra i suoi interessi di studio, le strategie politiche e culturali della Chiesa cattolica tra XVI e XVIII secolo. Ha curato l'edizione della 'Lettera a Cristina di Lorena di Galileo Galilei' (Marietti 2000) ed è autore di una biografia del cardinale Roberto Bellarmino (Bellarmino. Una teologia politica della Controriforma, Morcelliana 2005). Con Massimiliano Panarari ha pubblicato nel 2012, presso le edizioni Marsilio, il pamphlet storico-politico 'Elogio delle minoranze. Le occasioni mancate dell'Italia'. Ultima pubblicazione nel 2014, tramite le Edizioni Il Sole 24 ore: 'Bellarmino. Teologia e potere nella Controriforma'.
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Elogio delle minoranze
Le occasioni mancate dell'Italia
Cosa accomuna gli eretici italiani del Cinquecento e i social-riformisti dell'Italia primo-novecentesca, i galileisti del Seicento e gli igienisti dell'Ottocento, i protagonisti del Triennio giacobino e la famiglia allargata dei liberali di sinistra e progressisti? Innanzitutto l'atteggiamento mentale critico, consapevole, ma sempre distinto dal pragmatismo e dall'antidogmatismo. Infine un amaro destino: duramente sconfitti, costretti ad assistere in vita alla dissoluzione dei loro progetti, sono stati anche oggetto di dimenticanza o di damnatio memoriae. Massimiliano Panarari e Franco Motta ripercorrono la storia del nostro paese rileggendola attraverso le esperienze di quelle "grandi" minoranze virtuose, che hanno combattuto battaglie di stampo riformatore e per il cambiamento delle condizioni di vita. Un filo rosso attraversa il libro alla ricerca delle energie fondative di quella che avrebbe potuto essere un'altra Italia, i cui esponenti si rivelano oggi più vicini ai modelli sociali e culturali che risultarono vincenti in buona parte dell'Occidente sviluppato.
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