Per una teoria delle minoranze
di Obsolete Capitalism
Ordine e misura: la matematizzazione dell'empirico ( parte II )
La forma della non linearità, della divaricazione, dell'instabilità è difficile da decifrare nella freccia direzionale della storia degli ultimi secoli se, tale ricerca, non è sorretta dal confronto tra costanti e differenze, linee e biforcazioni, ripetizioni e stacchi. La democrazia rappresentativa, rafforzata nel XX secolo dal suffragio universale, è figlia del pensiero politico-filosofico di Rousseau e degli Illuministi francesi tanto quanto del razionalismo filosofico-matematico di Cartesio. La mediazione razionale tra natura ed esperienza, e tra nuovi livelli di ordine sociale e fondamenti veritativi, porta il secolo XVII a soglie di pura eccellenza nella sintesi tra filosofia e pensiero matematico-scientifico. L'habitat delle moderne democrazie 'avanzate' risiede nell'alveo della matematizzazione dell'empirico perseguita dalle forme di pensiero radicale dell'Età Classica. E' da questo spazio ecologico del pensiero e del politico che, nelle democrazie occidentali, si può parlare correttamente di maggioranza e minoranza. Su questa soglia epistemologica abbiamo sfidato e indagato il pensiero degli autori di Elogio delle minoranze, ponendo loro alcuni interrogativi: la storia del pensiero politico può stabilire con fondamenti di verità lo statuto delle discontinuità delle minoranze portatrici di progetti riformatori rispetto ai poteri costituiti? Quali sono i caratteri prescelti per individuare, isolare, ritagliare queste ristrette minoranze? Come viene distribuito il tempo delle narrazioni e degli accadimenti frammentati? In tempi di democrazia rappresentativa e quindi di aspirazione numerica all'individuazione della maggioranza che garantisca il fondamento del potere e l'equilibrio di 'sistema', quali sono gli spazi di manovra e di proposta delle minoranze numericamente individuabili? La democrazia rappresentativa non limita, o addirittura frena, il dinamismo dei soggetti del rinnovamento e del cambiamento?
Le presenti domande riguardano come fare corrispondere in un sistema simultaneo, istituzioni realmente democratiche, dinamismo sociale e processi di cambiamento. Le minoranze, infatti, sono portatrici di istanze di rinnovamento e di perturbamento della ragione identificante in quanto differiscono dall'Identico sociale che le vorrebbe contenere. Allo stesso tempo le gerarchie elitarie che governano le istituzioni ambiscono alla quiete selettiva e aborriscono il movimento tendente all'opposizione differenziatrice. L'atteggiamento conservatore dei poteri organizzati in istituzioni totali, irrigidisce le stesse, tramutandole in organizzazioni ripetitive e materializzandone le contingenze. E' noto che lo sforzo intenso delle gerarchie uniformanti è volto a far apparire 'naturale' il reale, cioè il sistema vigente, e 'irrazionale' il diverso dal conforme; da ciò la propagazione oculata dell'espressione "il reale è razionale" il cui risvolto negativo è la certificazione di "assurdità irrazionale" per ogni atto di "resistenza del diverso alla ragione identificante" (Deleuze, 1997).
Si viene a creare, dati questi presupposti, uno spazio politico smisurato e stridente, situato oltre la contabilità democratica e la proceduralità elettorale; è in questo spazio politico che la filosofia del pensiero minoritario si deve insediare e l'archeologia delle minoranze trovare il proprio ritmo di analisi e di indagine. Per ora - ma questo è solo l'inizio di una nuova dimensione neo-materialista della Storia - ci si dovrà accontentare di raccogliere, elencare e accatastare le forme di rottura, la morfogenesi delle discontinuità, la meta-stabilità del pensiero del divenire-minore. ( segue QUI )
(tratto dall'e.book 'Archeologia delle minoranze. Intervista con Franco Motta su "Elogio delle minoranze" - in uscita a Settembre 2015)
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